Il commento

Riecco la questione catalana

Il 24 e il 25 novembre la Corte di Giustizia dell’Unione Europea esaminerà il caso di Carles Puigdemont, Toni Comì e Clara Ponsatì
Carlo Lottieri
Carlo Lottieri
18.11.2022 06:00

Nei prossimi giorni potrebbe riaprirsi la «questione catalana»: una vertenza che oppone Madrid e Barcellona, ma soprattutto travaglia l’Europa da anni. Tale conflitto ebbe un momento particolarmente drammatico nell’ottobre del 2017, quando il tentativo dei separatisti catalani di organizzare un referendum sull’indipendenza fu bloccato dalla Guardia Civil, che usò la forza contro quanti volevano votare. Dopo essere riuscito a impedire il referendum, lo Stato spagnolo ha tenuto per anni in prigione alcuni oppositori, mentre altri sono stati costretti a vivere in esilio tra Belgio e Svizzera.

Tra di loro vi sono Carles Puigdemont, Toni Comì e Clara Ponsatì, eletti eurodeputati nel 2019, ma che presto potrebbero perdere l’immunità parlamentare. Il 24 e il 25 novembre la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, infatti, esaminerà il loro caso in seguito alle iniziative di una giustizia spagnola che, nel corso di questi anni, ha dato prova di essere ben poco autonoma rispetto al potere politico.

Al di là delle questioni legali, è chiaro che il tema cruciale è la difficoltà – per taluni Stati contemporanei – di gestire le richieste provenienti dalle comunità che rivendicano il diritto ad autodeterminarsi. Se infatti Regno Unito e Canada hanno riconosciuto agli abitanti di Scozia e Québec la facoltà di votare sui confini, lo stesso non si può dire per la Spagna, che condivide con la Francia e l’Italia un’impostazione costituzionale di carattere giacobino.

Quale che sia l’esito del conflitto giudiziario, è importante che al più presto in Europa si comprenda quanto è cruciale la questione delle libertà locali. Ed è pure necessario che alcune lezioni del passato vengano comprese, perché il nazionalismo può produrre soltanto frutti avvelenati, mentre l’autogoverno locale e la concorrenza istituzionale permettono di avere istituzioni in grado di tutelare la libertà e favorire la prosperità.

La storia contemporanea della Svizzera, al riguardo, avrebbe molto da insegnare. In effetti, quando nell’area del Giura emerse l’aspirazione a creare un cantone indipendente e separato da Berna, dopo una serie di tensioni alla fine si decise di far votare. Lasciando decidere alla popolazione, la soluzione che emerse portò non solo al varo del ventiseiesimo cantone, ma anche a una successione di consultazioni, anche in anni recenti (come nel caso di Moutier).

A dispetto degli errori compiuti e della rigidità di taluni attori, la vicenda del Canton Giura può rappresentare un modello, perché ha mostrato come ogni questione identitaria e istituzionale sia meglio gestibile quando si accetta l’idea del libero confronto e quando si considerano i confini come realtà umane e modificabili. È sicuramente vero che con la nascita del Canton Giura si è avuta soltanto una secessione «interna», ma in fondo entro il quadro dell’Unione europea anche l’indipendenza della Corsica oppure delle Fiandre potrebbero essere lette nello stesso modo.

Il punto fondamentale è che nelle società contemporanee, nelle quali le istituzioni reputano di trarre la loro legittimità dal consenso, non si può negare il diritto di voto ai catalani, ai baschi, ai fiamminghi, ai sud-tirolesi e a qualunque altro popolo che rivendichi la propria libertà. Poiché sono le istituzioni al servizio della società (e non il contrario), quando una popolazione rivendica il diritto di autodeterminarsi non si può mandare l’esercito, ma si debbono allestire le urne per il voto. Anche prevedendo l’ipotesi che non tutta la Catalogna lasci la Spagna, se ad esempio a Tarragona o altrove il voto dovesse veder prevalere i difensori dello status quo.

Certo è difficile essere ottimisti di fronte alle prossime scadenze che attendono la Corte di Lussemburgo. È però chiaro che un po’ ovunque bisogna iniziare a ragionare con pacatezza in merito al fatto che non si può trasformare gli Stati in prigioni: dato che tutto questo può solo produrre crescenti conflitti e incomprensioni.