Tra il dire e il fare

Salute preziosa e impagabile

Molti fanno sempre più fatica a pagare i premi di cassa malati e le due iniziative del PS e della Lega vanno incontro a fasce differenti di popolazione
Alessio Petralli
Alessio Petralli
08.09.2025 06:00

La salute è un bene prezioso, impagabile. Eppure dobbiamo pagarla a caro prezzo, poiché vogliamo conservare un sistema sanitario come il nostro, così costoso soprattutto vista l’altissima qualità. Molti fanno sempre più fatica a pagare i premi di cassa malati e le due iniziative del PS e della Lega vanno incontro a fasce differenti di popolazione.

Non possiamo ragionare qui nel dettaglio su due iniziative così differenti tra loro, ma è innegabile che entrambe sono un cerotto, più o meno grande e più o meno costoso, per cercare di contenere un’emorragia che dura da troppo tempo. Al di là della metafora poco originale, un cerotto, utile a fermare piccoli sanguinamenti, non è certo adatto ad arrestare un’emorragia grave, che minaccia un sistema performante a cui nessuno vuole rinunciare.

C’è pure chi sostiene che entrambe le iniziative costituiscano il classico «cerotto su una gamba di legno». Ma, restando in metafora, la gamba del paziente non è certo di legno e per salvarla, se non proprio un rischioso laccio emostatico, è indispensabile una forte compressione diretta e un bendaggio consistente. Bisogna quindi comprimere i costi ad ogni costo, altrimenti una medicina a tante velocità sarà un’evoluzione inevitabile.

Ma nessuno da noi vuole giustamente vivere in una società che discrimina una parte più o meno grande dei suoi cittadini, quando si tratta del diritto di fasi curare convenientemente. Anzi possiamo essere orgogliosi del nostro sistema, poiché nessuno viene lasciato per strada. Anche l’ultimo dei nullatenenti, se bisognoso di cure, viene accudito e rimesso in sesto senza l’obbligo di possedere la tessera dell’assicurazione sanitaria (peraltro inderogabile per chi vive qui) o, peggio, la carta di credito.

Cose che capitano in molte nazioni considerate civili. Scena australiana vissuta un paio di anni fa in Gold Coast: un surfista cade male e si lussa una spalla che non vuole saperne di rientrare nella sua sede naturale. L’uomo, piegato in due dal dolore, è in trepida attesa dell’ambulanza, i cui addetti appena arrivano chiedono prima di tutto al malcapitato per l’appunto la carta di credito. Il dolore lancinante gli impedisce di togliere il portafoglio dalla tasca e deve essere aiutato da un astante. Scena tristissima da noi per fortuna inimmaginabile.

Nessuna delle due iniziative in votazione il 28 settembre, entrambe con il punto esclamativo alla fine del titolo («Esplosione premi di cassa malati: ora basta!», «Basta spennare il cittadino, cassa malati deducibile integralmente!») si occupa del contenimento dei costi della salute. E in comune le due iniziative hanno pure il «basta», invocazione abusata e perciò poco efficace. Sui costi nulla, anche se a dire il vero nell’opuscolo informativo (conciso e fatto con cura) possiamo tra l’altro leggere che le cause dei costi che salgono sono: «inazione della politica, doppioni e profitti eccessivi, debole pianificazione ospedaliera, salari esagerati dei manager delle casse malati, farmaci generici poco usati…». Risvolto linguistico: se i «generici» (tecnicamente un parallelismo elvetico trilingue che rimanda al tedesco «Generika» e al francese «génériques») si fossero chiamati «equivalenti» avrebbero avuto maggior successo fin dall’inizio.

Ma al di là di questa spigolatura, le due iniziative rimangono un cerotto e non affrontano il vero problema che, lo ribadiamo ancora una volta, è quello dei costi. A questo proposito è apprezzabile l’iniziativa ticinese che mira a rendere obbligatorio l’uso dei «farmaci equivalenti» di cui sopra. Una tessera di un mosaico difficilissimo da comporre (il medico pietoso fa la piaga dolorosa!). La cruda verità è che bisogna risparmiare prima di continuare a sussidiare: procedere a tappe forzate verso un intero popolo di sussidiati non è la soluzione.