In corner

Se il (Team) Ticino è in guerra

Considerazioni a margine dell’ennesima battaglia fra Bellinzona e Lugano: avanti così e da Tenero non uscirà più nessuno che possa ambire alla nazionale maggiore
©CdT/Gabriele Putzu
Marcello Pelizzari
14.11.2019 17:03

La Nazionale e il (Team) Ticino. Urca, bel tema. Da dove cominciamo? Mettiamo subito da parte la questione ritiro: la Svizzera non verrà a Lugano prima degli Europei. Punto. Peccato, ma punto. Partiamo piuttosto dall’entourage di Vladimir Petkovic e, più in generale, dal forte accento «ticcinese» (stiamo imitando i colleghi del «Blick», da sempre sensibili al tema) che caratterizza la selezione maggiore e la Under 21. Oltre al citato Petkovic, sono legati al nostro cantone Manicone, Foletti, Tami, Cavin, Mollard e, in seconda battuta, Lustrinelli, Gerosa nonché i fisioterapisti Grosjean e Romeo. Un sacco di gente, sì. E forse ci stiamo dimenticando qualcuno. Al di là delle considerazioni sul merito (per dire: è giusto rinnovare il contratto a «Vlado» o è meglio aspettare?) e del gradimento per questo o quell’elemento, stiamo parlando di eccellenze. O, meglio, di persone che non stanno lì per caso. Occupano posti chiave perché, secondo l’Associazione svizzera di football, avevano e hanno qualcosa in più rispetto alla concorrenza.

Già, ma i giocatori? Scorrendo la lista dei convocati per Georgia e Gibilterra, ma lo stesso vale per la Under 21, non c’è traccia dei nostri. L’ultimo ragazzo uscito dall’accademia (chiamiamola così) di Tenero e impostosi stabilmente in rossocrociato è Mario Gavranovic: nel suo curriculum vanta due Mondiali, anche se in Brasile si infortunò gravemente prima di esordire. È uno «vero», volendo usare un termine in voga ultimamente. Detto ciò, uno potrebbe chiedersi e chiedere – a giusta ragione – come mai il Ticino sia bravissimo a piazzare i suoi uomini in Federazione, fra campo e scrivania, ma non riesca a rifornire di calciatori le due rappresentative maschili più importanti. Bella domanda.

Una prima risposta si nasconde fra le pieghe di Lugano e Chiasso, i due club di Swiss Football League. Giocatori, tanti. Giovani ticinesi da svezzare, pochi (e quasi sempre confinati fra panchina e tribuna). Di più, i bianconeri prediligono monetizzare subito: vedi le cessioni di Binous, Vlasenko, Leo giusto per fare tre nomi. Una scelta che non critichiamo a priori, sia chiaro. Ma che sicuramente non aiuta il cosiddetto movimento.

Come non aiuta, e qui veniamo ad una seconda, possibile risposta, la «guerra dei mondi» che oppone Bellinzona e Lugano. Una battaglia di retroguardia, ideologica e spesso inquinata dai personalismi. Una battaglia combattuta a suon di cause e dichiarazioni roboanti, divenuta oramai simbolo di «celodurismo». Una battaglia lunga e apparentemente eterna. Al punto che, scusateci se passiamo per cerchiobottisti, è difficile capire chi ha davvero ragione e chi davvero torto. Soprattutto se coinvolge aspetti extra sportivi. In mezzo c’è il Team, appunto. A parole interessa a tutti ma paradossalmente finisce per essere la vera vittima della vicenda, fra fuggi fuggi di sponsor e giovani promesse ostaggio del volere dei club.

Lo stallo attuale, va da sé, difficilmente produrrà elementi un domani arruolabili da Petkovic. Ed è un peccato, perché in fondo di eccellenze ce ne intendiamo anche alle nostre latitudini. Basterebbe mettersi d’accordo.