L'editoriale

Si scrive rallentamento, si legge recessione

La variazione del PIL svizzero nel secondo trimestre dell'anno è rimasto fermo rispetto a tre mesi prima – Un segnale che sta incominciando a mancare spinta all'economia
Generoso Chiaradonna
06.09.2023 06:00

La frenata o rallentamento che dir si voglia c’è, non si può negare. Le principali economie europee – a partire da quella tedesca – stanno dando da tempo segnali di raffreddamento che potrebbero sfociare in una vera e propria recessione. Anche l’economia svizzera sembra essersi fermata. Lo ha certificato la Seco con una variazione nulla del PIL (Prodotto Interno Lordo) da un trimestre all’altro e non c’è niente che faccia presumere che la situazione economica cambi in meglio entro la fine dell’anno né in Svizzera, né in Europa e nemmeno nel resto del mondo. 

Alla fine di agosto l’indice PMI (Purchasing Managers Index) composito della produzione (industria e servizi) calcolato da Standard & Poor’s per l’eurozona era al di sotto del valore soglia di 50, in calo per il terzo mese consecutivo. Semplificando molto e traducendo in lingua corrente, questo dato misura in modo sintetico l’ottimismo o il pessimismo - a seconda dei punti di vista - dei manager che in seno alle aziende si occupano degli acquisti. Sopra i 50 punti si è convenzionalmente in una fase di espansione economica, al di sotto in una di contrazione. Tutto qua. Per dovere di cronaca ad agosto questo valore per l’eurozona - primo mercato per le imprese svizzere - è sceso a 46,7 punti dai 48,6 di luglio. Si tratta del maggior calo dal novembre 2020 che non era un periodo brillante dal punto di vista economico a causa della pandemia. Se invece si esclude l’eccezionalità del periodo COVID, l’attività economica nella zona euro è addirittura crollata ai minimi di marzo 2013, altro momento non entusiasmante per quanto riguardava la congiuntura. 

Ma al di là dei calcoli di pura aritmetica che lasciano sempre il tempo che trovano e dei confronti non sempre proponibili in quanto ogni periodo è spesso contraddistinto da fattori determinanti unici – una volta la crisi finanziaria, un’altra quella sanitaria e l’altra ancora eventi bellici inattesi nel cuore dell’Europa – l'indicatore PMI a differenza dei dati sul PIL (previsionali o ex post) si basa su quanto decide chi ha il potere di spesa o investimento all’interno delle imprese e anticipa in modo molto preciso quanto avverrà nei mesi successivi. Insomma, se chi ha il polso della situazione del mercato e dello stato di salute dell’azienda che dirige afferma che sta ritardando decisioni di acquisto o d’investimento a causa del peggioramento della congiuntura, c’è da crederci. E questo a tutti i livelli: nazionale e internazionale. Del resto, l’inasprimento della politica monetaria persegue proprio l’obiettivo di rallentare il ciclo economico invitando implicitamente imprese e famiglie a posticipare le decisioni di investimento. Con i costi di finanziamento crescenti, infatti, la domanda di prestiti e di mutui cala. E ciò sta avvenendo in Europa in modo molto marcato e in misura minore in Svizzera. 

Il rallentamento economico è quindi, per certi versi, stato “evocato” dagli stessi banchieri centrali proprio per combattere le dinamiche inflazionistiche che ora, almeno dal punto di vista statistico, stanno ritornando a livelli più bassi rispetto a solo un anno fa. C’è chi afferma, invece, che sia stata l’inflazione elevata ad aver contribuito a frenare l’economia. Secondo questa tesi, senza gli interventi delle banche centrali ci troveremmo in una situazione congiunturale ancora peggiore. Comunque sia, bisogna sottolineare che c’è però una differenza enorme tra l’indice dei prezzi al consumo (la misura dell’inflazione) che viene preso come bussola per verificare la bontà della politica monetaria e il vero costo della vita che è influenzato da una serie di prezzi amministrati che crescono indipendentemente dalla politica monetaria adottata e su cui nessun banchiere centrale ha potere: dai biglietti del trasporto pubblico, ai premi malattia, passando per le tariffe elettriche. Sono tutte voci di spesa di fatto obbligatorie che deprimono, indipendentemente dal principio di causa ed effetto, i consumi e quindi il PIL. Tutte le economie avanzate - e quella svizzera non fa eccezione – basano una parte importante del proprio reddito nazionale (fino al 60%) sui consumi. Con meno soldi in tasca, non si capisce come questi ultimi possano aumentare.  

È comunque vero che per il momento il mercato del lavoro non sembra segnalare gli effetti del rallentamento in atto. Non sarà però così per sempre. L’industria meccanica ed elettronica svizzera, per rimanere a un settore fortemente votato all’export, lamenta da tempo un calo degli ordinativi che potrebbero trasformarsi in cali occupazionali.