Sostenere i media locali arginando i giganti

Al di là di quello che potrà portare a livello tangibile, la forte azione di sensibilizzazione di ieri a Bellinzona – promossa da associazioni e sindacati che si occupano del settore dell’informazione – è stata importante per portare sotto gli occhi dei politici e dell’opinione pubblica la grave crisi che attanaglia i giornali in particolare ma, più in generale, i media tradizionali nel nostro cantone. Il drastico calo delle entrate pubblicitarie, l’erosione del numero degli abbonati, l’aumento dei costi lungo tutta la filiera (dalle materie prime fino alla distribuzione attraverso la Posta) e la transizione digitale che ancora non si tramuta in ricavi sufficienti per parlare di una vera e propria svolta, rendono sempre più urgente una presa di consapevolezza anche da parte delle istituzioni e del pubblico del cantone Ticino: dove oggi ci sono due quotidiani in abbonamento (una volta erano fino a sette, un’esagerazione in un fazzoletto di terra come il nostro) che hanno un bacino di lettori limitato, condizionato oltretutto dal fattore lingua, che rende il San Gottardo una vera e propria barriera di mercato. Chi scrive (e chi ci legge da tanti anni) ricorda che, poco più di due decenni orsono, il nostro giornale arrivava a stampare quattro quaderni, uno di questi talvolta dedicato esclusivamente a inserzioni pubblicitarie. Altri tempi, si dirà, ma è pur vero che in pochi anni il panorama è drasticamente cambiato (e peggiorato, ça va sans dire): gli editori privati, che sentono inevitabilmente il peso della concorrenza del servizio pubblico, hanno dovuto adattarsi, ma in queste condizioni mantenere la qualità non è impresa semplice. La bocciatura del pacchetto a favore dei media a livello federale, un anno e mezzo fa, ha fatto precipitare la situazione finanziaria di non poche testate, che hanno chiuso o sono state assorbite dai grandi gruppi, ovvero da coloro che dominano il mercato, ormai concentrato – soprattutto nella Svizzera centrale – in poche mani. Una tendenza, questa, che mette a rischio la pluralità dell’informazione e appiattisce l’offerta, impoverendo di riflesso il dibattito democratico. La manifestazione di ieri in Piazza della Foca è stata importante quanto, con ogni probabilità, velleitaria in termini di risultati immediati: in un periodo storico problematico per le casse del nostro Cantone, condizionato da una grande attenzione alle uscite finanziarie e da un generalizzato freno alla spesa, appare assai arduo immaginare un’eventuale azione di soccorso, sebbene in altri Cantoni vi sia una sensibilità ben maggiore per i media locali e si mettano in pratica, anche con poche risorse, efficaci promozioni per agevolare i quotidiani e, più in generale, la lettura.
Certo, secondo alcuni osservatori le interferenze dello Stato nel libero mercato possono creare distorsioni ben maggiori rispetto ai problemi che cercano di risolvere; rispettabilissima visione, ma la Confederazione ha almeno il dovere di intervenire, per esempio, a livello indiretto per provare a calmierare le tariffe di distribuzione della Posta, ovvero quei costi che stanno letteralmente esplodendo e che oggi rappresentano una pesante uscita per gli editori. Altro dovere di Berna, peraltro a costo zero, sarebbe colmare finalmente il vuoto normativo che, anche da noi, permette ai colossi del web di appropriarsi dei dati e dei contenuti originali in circolazione e raccogliere così una larga fetta del mercato pubblicitario. Una vera e propria concorrenza – questa sì, sleale - che mette ulteriormente in difficoltà i piccoli media indipendenti, in uno scontro impari e di fatto «truccato». Non è un caso che, negli ultimi tempi, le associazioni degli editori europei abbiano chiesto l’introduzione di un meccanismo «stile Australia» – Paese che ha presentato una legge sul tema – con l’obiettivo di garantire all’industria editoriale una remunerazione equa delle notizie e dei contenuti che i giganti del web utilizzano bellamente e gratuitamente sulle loro piattaforme, accrescendo il proprio traffico e gli introiti pubblicitari. Se non si può (o non si vuole) sostenere con aiuti diretti o indiretti gli editori, almeno si creino i presupposti per farli muovere in un contesto di mercato il più possibile paritario e corretto. Sono soluzioni, queste, che renderebbero l’esercizio editoriale e giornalistico più sostenibile, garantendo la narrazione del territorio e la qualità dell’informazione anche per i prossimi, difficili anni.