Il commento

Sui tassi occorre cautela

L’inflazione nel mondo è stata in gran parte domata, ma sarebbe un errore considerare come completamente vinta la battaglia
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
23.07.2025 06:00

L’inflazione nel mondo è stata in gran parte domata, ma sarebbe un errore considerare come completamente vinta la battaglia. Tanto più tenendo conto che siamo in una fase di aumenti dei dazi, con più che probabili riflessi sui prezzi. Occorre che le banche centrali, che per loro natura devono essere prudenti, ancor più utilizzino la cautela in un quadro come questo, in particolare per il livello dei tassi di interesse. Il costo del denaro in molti casi è già stato parecchio ridotto, dopo i precedenti rialzi legati alle impennate dell’inflazione. È stato giusto tagliare i tassi dopo aver constatato la discesa del rincaro. Ma ora bisogna stare attenti a non andare troppo in là.

Molte banche centrali già sono arrivate con un certo ritardo al rialzo dei tassi negli anni passati. Sarebbe perseverare nell’errore se arrivassero in ritardo anche nel caso di un nuovo ritorno di inflazione. Ora la situazione è diversa da quella del 2022 quando i prezzi si impennarono soprattutto a causa dell’effetto congiunto del post pandemia e dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma occorre ben aggiungere che il pericolo di rialzo dei prezzi esiste anche oggi, seppur in modo meno marcato rispetto a tre anni fa. Se è quanto il rincaro aumenterà, dipenderà in larga misura dai livelli a cui si assesteranno gli sbagliati dazi del presidente USA Trump, che comportano anche l’inevitabile corollario dei controdazi del resto del mondo.

Nei tassi di interesse di riferimento le situazioni sono molto diverse tra loro. Pur nella diversità, c’è un filo comune, quello appunto della cautela necessaria sui nuovi tagli ai tassi. Per ora non è detto che si debba arrivare ad aumenti dei tassi, anche se bisognerà osservare con attenzione gli effetti dei dazi e dunque restare pronti. In questo momento le banche centrali dovrebbero mettersi posizione di attesa, riducendo ai minimi i tagli o, forse ancor meglio, rinviandoli a data da destinarsi. Fa piacere avere un costo del denaro più contenuto, ma fa piacere anche avere un’inflazione bassa, che eroda il meno possibile il potere d’acquisto. È opportuno che questa sia tra le priorità.

Negli Stati Uniti i tassi di riferimento della Federal Reserve sono nella fascia 4,25-4,50%. Si tratta di tassi alti nel raffronto internazionale. Ma l’inflazione americana nel mese di giugno è aumentata al 2,7%, è dunque sopra l’obiettivo di media annua del 2% e potrebbe salire ancora. Il vertice Fed si riunirà settimana prossima. Trump vuole tassi molto più bassi e attacca il presidente della Fed, Jerome Powell, con ciò facendo un duplice errore: nel caso Powell ceda, l’inflazione rischia di salire molto; è sbagliato mettere in discussione l’autonomia della banca centrale, ciò crea sfiducia nel sistema USA. Inoltre, se Trump per favorire l’export vuole il dollaro debole, ebbene questo già lo è, non ha bisogno di tagli ai tassi. Il maxi debito pubblico americano costerebbe meno con tassi più bassi, ma il punto è ridurre il debito, non pretendere il soccorso Fed.

Nell’Eurozona i tassi guida della Banca centrale europea sono nella fascia 2-2,40%. Da questo punto di vista la situazione è migliore di quella degli USA, anche perché l’inflazione è un po’ più bassa, cioè 2% in giugno. Siamo su quello che è l’obiettivo di media annua, ma di nuovo ci vuole molta attenzione, perché come nel resto del mondo anche nell’Eurozona si faranno sentire i dazi. Il vertice della BCE ha lasciato intendere che la battaglia contro l’inflazione è stata vinta, spiacerebbe dover dire nei prossimi mesi che si è trattato di dichiarazioni incaute. Puntare attraverso i tassi alla discesa dell’euro per favorire l’export potrebbe costare in termini di rincaro. Il vertice BCE si riunisce questa settimana, vedremo se ci sarà prudenza o no.

La Svizzera ora ha come tasso guida lo zero per cento. Da sempre avversa all’inflazione, riuscita a limitare i danni e a ricondurla dentro l’obiettivo 0-2%. Il rincaro elvetico a giugno è stato dello 0,1%. Bene così. Ma qui il punto è di nuovo la grande forza del franco. Questa crea alcuni ostacoli all’export e d’altro canto rende meno caro l’import. La Banca nazionale svizzera dovrebbe pensarci davvero molto bene prima di attuare altri tagli per frenare il franco, perché torneremmo ai tassi negativi, con i problemi che questi comportano per il settore finanziario e per i risparmiatori. forse anche qui la posizione di attesa è la migliore. La BNS deciderà in settembre. La cautela è tra le virtù elvetiche, c’è ancor più da sperare che prevalga.