Fogli al vento

Suoni dalle strade

Ogni tanto accadono miracoli della musica e della vita: l’11 novembre 1989, due giorni dopo la fragorosa caduta del Muro di Berlino, si presentò a suonare Mstivlas Rostropovich, uno dei più grandi violoncellisti del ’900
Michele Fazioli
Michele Fazioli
04.12.2023 06:00

Voglio oggi dire il fastidio per la musica d’ambiente sparata dagli amplificatori sui soffitti e invece l’incanto di certa musica di strada. Abbiamo l’orecchio ferito dagli sfondi musicali ossessivi che i gestori dei bar (e ormai anche di parecchi negozi) ti mandano sopra le teste. Sono musiche percussive, colpi cupi di rock dozzinale, voci di disk jockey eccitati, strilli e pubblicità. Il peggio è che quando per caso la musica cessa gli avventori sembrano spaesati, come se il frastuono servisse a far dimenticare una solitudine. Il fracasso dà coraggio, evita l’avventura degli incontri veri e delle parole dentro il silenzio.

Per contro, in alcune città svizzere (molto meno in Ticino) c’è l’abitudine dei musicisti di strada, sassofonisti giovani e libertari, gruppi slavo-tzigani, violinisti dimessi e trasognati, fisarmoniche solitarie. Fanno nascere colonne sonore che allagano con allegrie e tristezze sincopate slarghi di piazze e angoli di strada. Talvolta quelle melodie in diretta sono simpatiche ma di qualità incerta, molte volte però si intuisce un’esecuzione ottima. Parlo dei suonatori senza microfoni né basi registrate, di quei resistenti che credono ancora al suono puro. Alcuni di essi, pur suonando per racimolare dei soldi, ci sanno fare davvero, e sembrano insufflare con il fiato e ricamare con le dita una passione dentro gli strumenti, mostrando un rispetto per il talento che hanno ricevuto, anche se costretti dalla sorte (o dalla libertà) a vendere melodie all’angolo delle strade. Amano la musica che fanno. Certe volte incontri personaggi di cui intuisci un valore intimo e misterioso. Conservo per esempio il ricordo di un’esperienza di tempo fa in Germania. Sono a Monaco di Baviera, alle dieci di sera, sotto un porticato vicino alla chiesa di Skt Michael: ecco un giovane violoncellista in abito da sera, suona brevi cose brillanti. C’è qualcosa di bello in lui, mi fa anche un po’ compassione, così giovane, così fragile (chissà, uno studente di conservatorio a corto di quattrini, un idealista un po’ anarchico innamorato della ragazza sbagliata?). Sostiamo in pochi attorno a lui, al termine di un pezzo osiamo un piccolo applauso. Lui dice: «Visto che apprezzate, vi suono un po’ di Bach». E prende a cavare dal suo violoncello la bellezza di alcune «cello suites». Le esegue benissimo, le volute musicali bachiane si alzano sontuose oltre i portici, verso le facciate di vecchie case e il cielo buio. Alla fine il violoncellista si allontana nel suo smoking dimesso, carico della grande custodia nera che contiene il suo unico tesoro. Chissà, magari oggi tiene concerti in sale lussuose piene di luci e applausi, oppure no, il suo talento sicuro è rimasto bloccato.

Ogni tanto accadono per strada miracoli della musica e della vita. Sono andato a ri-curiosare per voi nella cronaca e nelle immagini dell’11 novembre 1989, due giorni dopo la fragorosa e storica caduta del Muro di Berlino. Quel giorno si era presentato lì a suonare Mstivlas Rostropovich, 62 anni, uno dei più grandi violoncellisti del ’900 (scomparso ottantenne sei anni fa). Nato in Russia, nel 1974 era stato espulso per anticomunismo dall’Unione sovietica e dovette riparare negli USA. Tenne concerti in tutto il mondo, sempre con la nostalgia per la patria perduta, una specie di Chagall con il violoncello invece che con il pennello. Quando seppe quel che era accaduto il 9 novembre del 1989, Rostropovich era corso a Berlino e il mattino dell’11 un suono di violoncello, rigoroso come un pensiero, commosso come un pianto, armonioso come la libertà, salì da sotto il muro funesto ancora in gran parte in piedi ma già tutto dipinto dai colori dell’immaginazione libera. Più tardi Rostropovich rivelerà: «Quel maledetto muro ha diviso la mia vita, è stata una lacerazione per il mio cuore. Nel 1974 l’Unione sovietica mi ha buttato via come uno straccio, prima di questo giorno non potevo suonare a Est. Quando il muro è crollato la mia vita si è riunita. Sono corso sotto il muro, non volevo suonare per la gente ma per ringraziare Dio di quello che era accaduto. Quando sono arrivato lì ho dovuto chiedere in prestito una sedia a un abitante di Berlino. Ho suonato arie con accordi maggiori perché ero felice, la mia vita si era riunita. Poi ho visto un giovane che mi guardava e ho pensato che per quel muro erano morte molte persone. Allora ho suonato un’aria in re minore. Alla fine del pezzo quel giovane si è messo a piangere». Qualcuno scattò delle foto, furono girati dei filmini. Oggi su Google cliccate «Rostropovich Muro di Berlino» e trovate una minima scheggia audiovisiva di quella memorabile vibrazione di genio e di umanità davanti a una delle cicatrici del Novecento. Musica per strada. Ma che musica. Ma che strada.