L'opinione

Sydney non è un'eccezione

L’attacco terroristico antiebraico di Bondi Beach non nasce dal nulla
Adrian Weiss
16.12.2025 06:00

L’attacco terroristico antiebraico di Sydney non nasce dal nulla. È il prodotto di un clima costruito nel tempo da un fronte pro-Palestina sempre più radicalizzato, legittimato da scelte politiche irresponsabili e amplificato da giornalisti che hanno rinunciato al dovere di informare con rigore. Da anni una parte del mondo politico occidentale, anche in Svizzera, utilizza il conflitto mediorientale come strumento ideologico anti-occidentale, trasformando Israele nel capro espiatorio universale. Si parla di genocidio, si cancellano contesto e fatti, si rovesciano ruoli e responsabilità. In questo schema semplificato, gli ebrei diventano colpevoli per associazione e l’odio trova terreno fertile. Ancora più grave è il fatto che questa visione venga introdotta nelle scuole, spesso con il patrocinio o la complicità delle istituzioni. Sotto l’etichetta dell’educazione civica o dei diritti umani, si indottrinano gli allievi, si presentano narrazioni unilaterali, si sostituisce l’analisi con lo slogan. Bambini e adolescenti vengono esposti a una lettura ideologica del mondo senza strumenti critici, sfruttando la loro età e la loro naturale sensibilità. Questo avviene grazie alla debolezza del sistema politico, incapace di porre limiti chiari, e alla preoccupante ignoranza geopolitica di molti responsabili istituzionali, che parlano di Medio Oriente, islamismo e terrorismo senza conoscerne storia, ideologia e obiettivi.

L’improvvisazione diventa linea politica. L’attivismo prende il posto della responsabilità. Il movimento pro-Pal che domina piazze, social e parte del dibattito pubblico non è più soltanto una causa umanitaria. In molti casi è diventato un vettore ideologico anti-occidentale, incapace di prendere le distanze dal terrorismo e incline a giustificare o minimizzare la violenza quando colpisce Israele o cittadini ebrei. Hamas, Hezbollah e il ruolo dell’Iran vengono relativizzati o rimossi.

Ma va detto con chiarezza: lo scopo del terrorismo islamista non riguarda solo gli ebrei. Gli ebrei sono spesso il primo bersaglio, ma non l’unico. Il nemico dichiarato sono tutti gli «infedeli», le società pluraliste, la libertà di pensiero, l’Occidente nel suo insieme. Pensare che questa ideologia possa fermarsi davanti alle porte di una sinagoga è un’illusione pericolosa. Anche la Svizzera non è immune. L’odio circola con crescente disinvoltura, mascherato da militanza politica o da impegno educativo. Le autorità reagiscono in modo esitante, temendo il conflitto più della deriva. Ma la neutralità di fronte all’odio non è neutralità: è rinuncia. L’antisemitismo contemporaneo non indossa più uniformi riconoscibili. Si presenta come attivismo, come pedagogia «impegnata», come informazione selettiva. Ma il suo effetto non colpisce solo una minoranza: corrode il tessuto sociale, indebolisce la coesione e mina i fondamenti delle democrazie liberali. Sydney non è lontana. È un segnale che riguarda tutti. Contrastare l’antisemitismo oggi significa difendere l’intera società, richiede una classe politica preparata, scuole libere dall’indottrinamento e istituzioni capaci di esercitare autorità prima che l’odio diventi violenza.

L'opinione di Adrian Weiss, presidente dell'Associazione Svizzera-Israele, Ticino