Tempo di forconi

In questo inizio d’autunno – se non si scivolasse nella retorica sarebbero da citare i «Soldati» di Ungaretti – mi sento qualunquista e populista. E me ne vanto. Sul battellino sto spostando le casse di Barbera fatto col mulo per far posto ai forconi che intendo usare con un commando di volontari che imbarcherò a Caprino per poi andare in piazza a tentare una rivoluzione. Diversamente dal 1798 con lo sbarco dei Cisalpini, i Volontari luganesi si uniranno a noi perché anche loro adesso sono stufi di farsi menare per il naso. Asia dice di non capire, ma tra qualche giorno capirà e se è una vera microinfluencer del lago e una «content creator» ci darà una mano nel diffondere il verbo insurrezionale quando sarà ufficializzata la nuova stangata per i premi di cassa malati dopo l’inconcludente messinscena politica nazionale che da anni stigmatizza la tendenza senza risolvere nulla.
Lo spettacolo atterrisce. Non passa giorno, soprattutto in questo periodo elettorale, che non fiocchino proposte d’ogni tendenza ideologica con intenti miracolistici. Si aggiungono sconcertanti prese di posizione altolocate. Recentemente la madre della LAMal Ruth Dreifuss ha affermato che l’assicurazione malattia è oggi come un aereo senza pilota. Sai che ridere, anche se fa strano visto che il ministro della sanità Alain Berset l’esperienza di pilota l’ha, pur non essendo un asso dell’aria. Eppure, anche lui, s’è rassegnato alla nuova stangata, nonostante il pacchettino di misure presentato ieri, tanto alla fine dell’anno se ne va. Il più irritante è senz’altro il ministro dell’economia Guy Parmelin secondo il quale, di fronte all’inflazione, all’aumento dei premi dell’assicurazione malattia e dei prezzi dell’energia, si può far poco e quindi il popolo deve dimostrarsi responsabile e iniziare a risparmiare. Grazie, lo sapevamo già e non siamo scemi. Da un consigliere federale ci si aspetterebbe di sentire altre parole e proposte, tant’è vero che persino la mia amica ha cominciato a impressionarsi e a fare ricerche, scoprendo che nel 2007 l’allora ministro della sanità Pascal Couchepin, date le difficoltà per riformare l’assicurazione malattia, dichiarò che ci sarebbero voluti da uno a due secoli per cambiare il sistema. È incoraggiante, sedici anni sono già passati, ha commentato Asia quasi sollevata perché avremo ancora un secolo e mezzo per far riuscire l’operazione (quando il paziente sarà già morto).
L’analisi della situazione la possono fare tutti: c’è una corresponsabilità dei fornitori di prestazioni (medici, ospedali, cliniche, servizi delle cure a domicilio, eccetera eccetera), delle casse malati (l’idea di crearne una unica pubblica potrebbe anche starci per ridurre i costi amministrativi, ma non diminuirebbe i costi delle prestazioni) e degli stessi pazienti-assicurati che vogliono pagare meno ma non rinunciano a correre al pronto soccorso, magari con la pretesa di averlo sotto casa, per un debole accenno di sciolta. E poi ci sono tutti i contribuenti che tramite le imposte pagano i sussidi per chi non riesce più a pagare i premi di cassa malati. La cosa è indubbiamente complessa ma la politica dovrebbe avere il compito di trovare la sintesi, dare l’orientamento, giungere al compromesso per frenare una spirale socialmente esplosiva. Invece cos’ha prodotto sinora? «’Na beata minchia», risponderebbe Cetto La Qualunque. Certo, brutta cosa il qualunquismo. Moralmente mi autocondanno. Però continuo a preparare i forconi.