Il commento

The Crown e la triste ballata dello «spare»

Re Carlo III, nella sua lunga carriera di erede al trono, è stato accompagnato dalla spiacevole fama di essere quel che a Roma si chiama uno «sfigato»
Antonio Caprarica
09.11.2022 06:00

Re Carlo III, nella sua lunga carriera di erede al trono, è stato accompagnato dalla spiacevole fama di essere quel che a Roma si chiama uno «sfigato»: colorita espressione per designare qualcuno sfortunato e votato all’insuccesso. Lui stesso sembrava nutrire scarsa fiducia nelle sue prospettive. Quando gli chiesero un quarto di secolo fa (già cinquantenne) se sarebbe mai diventato re, lui ci pensò su per qualche secondo prima di rispondere cauto: «Beh, se valgono le leggi di natura …». Adesso che le leggi di natura si sono imposte, anche la fortuna sembra cambiare vento e baciarlo in fronte.

Le convulsioni in cui affonda la politica britannica, con il record di tre premier cambiati in quattro mesi, fa per converso brillare la monarchia come l’istituzione più stabile e solida del Regno Unito. Gli amici del nuovo sovrano temevano che un paese giovane come la Gran Bretagna potesse mostrare una reazione di rigetto per un sovrano che comincia la sua missione alla vigilia dei settantaquattro anni. Ma basta il confronto con i leader politici della generazione più giovane – i cinquantenni Boris Johnson o Liz Truss – per regalare a re Carlo, agli occhi dei sudditi, la palma della saggezza, dell’esperienza e della moderazione.

Per non parlare della sua immacolata reputazione ambientalista. Si deve anche alla sua silenziosa pressione se il neo-premier Sunak, inizialmente deciso a disertare la conferenza ONU sul clima, ci ha ripensato e ha preso il volo per il Cairo. Sua Maestà può dunque dormire, finalmente, sonni tranquilli?

Potrebbe, se il calendario non ticchettasse peggio di una bomba a orologeria. Giusto oggi arriva in tv la nuova stagione di The Crown, centrata sui fatidici anni Novanta e la tragedia di Diana. Dire che Carlo ne esce a brandelli è poco: gran parte della storia è inventata, i dialoghi più compromettenti frutto di fantasia, e l’allora principe di Galles viene ritratto non solo come un perfido marito fedifrago ma pure un figlio ingrato che complotta per strappare la corona alla madre. Insomma, più che storia pura fiction, ma questa avvertenza non compare da nessuna parte.

L’indignazione che si respira a Corte per la spregiudicata operazione commerciale è niente rispetto all’allarme per i brontolii di tuono provenienti da Montecito. Tutti a trattenere il fiato per l’autobiografia di Harry in uscita il 10 gennaio. Il titolo, ormai già noto in tutto il mondo, è da solo un programma politico: Spare. Come si sa, «Spare to the Heir» – ovvero riserva, ricambio dell’erede – è il titolo sprezzante appioppato dagli inglesi al secondo in linea di successione al trono.

Nel dizionario, spare viene definito come «aggiuntivo a ciò che è richiesto per l’uso ordinario». Scegliendo questo termine per le sue memorie (ghost-writer il Pulitzer J.R. Moehringer) Harry intende trasmettere al mondo la sua frustrazione, i sentimenti di un principe che si è sempre avvertito superfluo rispetto ai requisiti. Tanto più dopo che la nascita dei figli di William lo ha spinto sempre più giù nell’ordine di successione. La faccenda è deprimente? Magari sì, ma difficilmente può arrivare come una sorpresa per un principe del sangue, visto che è quanto regolarmente avvenuto ai secondogeniti reali in mille anni di storia monarchica sull’isola.

L’amarezza appare del resto ampiamente compensata dal sontuoso cachet editoriale di 36 milioni di sterline, quanto basta a pagare per sette anni le esorbitanti spese di manutenzione della reggia dei Sussex a Montecito. Per Harry è un colpo grosso, che rischia però di minare per sempre la lucrosa carriera commerciale della coppia ducale: se, come tutto lascia intendere, anche in questo libro il principe (come nell’intervista a Oprah Winfrey) rilancerà le accuse a Carlo di essere il responsabile dell’infelicità famigliare, a Camilla di aver rubato il marito alla madre, e al fratello William di essersi piegato al «ciclo distruttivo» della famiglia reale, la rottura coi Windsor diverrà irreparabile.

Per re Carlo, impegnato a ricucire i rapporti coi «ribelli», sarebbe certamente una sconfitta personale. E per la monarchia un altro serio colpo d’immagine. Ciononostante, passata la buriana, la Corona sopravvivrà anche a questo. I Sussex invece no. Una volta privati di qualsiasi connessione reale, risulteranno mediaticamente appetitosi quanto una polpetta di soia a una cena di vampiri.