Trump e Harris: quando uno scivolone chiude le porte della Casa Bianca

Donald Trump o Kamala Harris? A una quarantina di giorni dall'Election Day, gli Stati Uniti non hanno ancora una risposta precisa alla domanda. A livello nazionale, i due candidati alla Casa Bianca si trovano infatti perfettamente appaiati, con i più recenti sondaggi del New York Times che attestano le preferenze per l'ex presidente e l'attuale vicepresidente al 47%. La lettura è, comprensibilmente, difficile anche e soprattutto negli importanti swing states – né blu né rossi, dove il risultato di voto è più incerto – con i dati che mostrano alcune differenze in Pennsylvania (vantaggio Harris) e in Arizona, Georgia e North Carolina (vantaggio Trump).
Quando le statistiche danzano costantemente nel margine d'errore, sbilanciarsi in un pronostico diventa complicato. Non stupisce, allora, che ben pochi analisti, considerato il responso inconcludente dei rilevamenti, abbiano azzardato una chiara previsione. Cautela, questa, probabilmente ispirata anche da una scottatura recente: quella del 2016, quando la «comoda vittoria» per Hillary Clinton si trasformò in disfatta, per dem e sondaggisti insieme.
La prima vittoria di Trump – a posteriori è facile dirlo – fu propiziata dalla controversia delle e-mail di Clinton, caso che vedeva la candidata accusata di aver violato (ai tempi del mandato da segretaria di Stato) la legge federale, inviando messaggi top secret tramite un server non statale e, dunque, a rischio sicurezza. L'accendersi della questione a una decina di giorni dal voto avrebbe avuto, questa l'interpretazione più accreditata, un impatto decisivo sull'esito delle presidenziali. Ma i sondaggi fallirono nell'anticiparlo.
Raccolti fra il 17 e il 21 settembre, i dati pubblicati dal New York Times potrebbero essere esposti a simili problematiche. La maggior parte delle opinioni, ammette lo stesso giornale, sono state rastrellate prima che venisse alla luce un nuovo scandalo, quello che negli ultimi due giorni ha visto Mark Robinson, repubblicano in corsa per la carica di governatore del North Carolina, al centro di un caso che mischia pornografia a simpatie neo-naziste. Mentre alcuni membri dello staff di Robinson hanno già abbandonato, in risposta, il proprio posto, c'è da chiedersi come la polemica possa influire sulle presidenziali di Trump. Appartenente alla regione nota come Sun Belt, il North Carolina rappresenta, a detta di molti esperti, il piano B di Harris nel caso in cui la Pennsylvania dovesse cadere in mani repubblicane: la sua conquista sarà, forse, determinante.
Non stupisce, allora, che Trump – in comizio, sabato, proprio a Wilmington, North Carolina – abbia per una volta evitato di omaggiare Robinson. Nel passato recente, il 78.enne si era sempre lasciato andare a lodi sperticate nei confronti dell'alleato, in un'occasione definito, addirittura, un «Martin Luther King Jr. sotto steroidi». Nell'ultimo comizio, invece, sono stati menzionati tanti altri politici legati allo Stato del Sud, ma non Robinson. Un silenzio, questo, che fa intuire quanto il terreno sia sdrucciolevole sotto i piedi di entrambi i candidati. Nel culmine di una campagna costata, a democratici e repubblicani insieme, miliardi di dollari, l'impressione è che nel testa a testa di Harris e Trump non ci sia più spazio a errori: né per i propri, né per quelli di terzi. A pochi metri dal traguardo, uno scivolone potrebbe chiudere per sempre le porte della Casa Bianca.