Fogli al vento

Trump e Vance, pistoleros nel saloon

Continua a rigirarmi nella mente la scena della losca ammucchiata nello studio ovale della Casa Bianca, che dovrebbe essere l’ufficio più prestigioso e quasi sacrale del mondo
Michele Fazioli
Michele Fazioli
03.03.2025 06:00

Continua a rigirarmi nella mente la scena della losca ammucchiata nello studio ovale della Casa Bianca, che dovrebbe essere l’ufficio più prestigioso e quasi sacrale del mondo. Quella sfida da western politico, con i due capi americani seduti a gambe larghe come pistoleros, con le cravatte penzolanti, di fronte al minuto capo ucraino, ha rotto un cerimoniale morale, una convenzione estetica. Infatti, qui non entro nemmeno nel merito del contenzioso, ovvero nella complessità dello scacchiere di guerra russo-ucraino, della sua genesi, della sua storia, della sua terribile attualità. E non voglio nemmeno accennare al fatto che da parte del presidente ucraino non è stata una trovata furba quella di esordire chiamando «terrorista e criminale» quello stesso Putin con cui Trump vuole dialogare, mostrando poi delle foto di soldati ucraini torturati dai russi. No, il punto è un altro. A ferire il mio sguardo diciamo civile, persino morale (e penso di essere nella media, penso che in moltissimi condividano questa mia impressione) è stata la sordida, incattivita messa in scena: una aggressione. Ma probabilmente anche un agguato, una imboscata cinicamente pensata (il che, a guardar bene, sarebbe ancora il meno peggio: se invece si è trattato di uno scoppio istintivo, un moto irrefrenabile di ego narcisistci e di deliri di onnipotenza, sarebbe ancora più allarmante). Quello che mi ha fatto paura, di quei dieci minuti assurdi, è stata la presenza, inquietante e sinistra, di una violenza. Nel posto sbagliato. Sappiamo bene tutti che la violenza esiste: nelle lotte per il potere, nelle guerre (anche in quelle giuste purtroppo) nelle sopraffazioni, nelle mille violazioni perpetrate ogni giorno nel mondo. Ma ci sono dei luoghi e delle circostanze in cui la «simbolica» diventa un valore civile. Quando due capi di Stato hanno idee diverse e si incontrano, essi, ben sapendo di custodire interessi e visioni divaricanti, nondimeno si salutano con cordialità, compiono i gesti dell’accoglienza, dell’ospitalità, del rispetto. Sanno che il mondo li guarda e si aspetta da loro non l’impossibile perfezione e il trionfo delle virtù ma perlomeno la dignità formale e fortemente simbolica (appunto) che fa parte, assieme ai molti difetti, del mistero stesso della natura umana. Oltre a ciò, la scena violenta dell’altro giorno appariva anche come l’ennesimo stridore del fenomeno trumpiano, ovvero del ritorno alla presidenza di un uomo che era stato sconfitto e ora si ripresenta con toni truci e vendicativi (l’altra sera ha definito Joe Biden come «il mio stupido predecessore»). Eletto un’altra volta, Trump è tornato alla Casa Bianca con a fianco i suoi cowboys raggruppati in uno strano branco di miliardari precipitatisi «in soccorso del vincitore», di «yes men» adulatori, di ambiziosi candidati alla successione del presidente (che fra tre anni e mezzo non potrà più ripresentarsi). In questo senso fa più paura il vicepresidente, così minaccioso e attaccabrighe, venuto in Europa a dare lezioni di libertà a questo nostro vecchio continente esausto e disunito ma dove la libertà di espressione è molto accesa e viva rispetto a quanto accade negli USA, dove i media e le istituzioni culturali sono minacciati proprio dal trumpismo d’attacco. Ma chi siamo noi, moscerini giornalisti di un piccolissimo Paese (parlo per me, naturalmente) per giudicare i «grandi» del mondo? Siamo quasi nessuno. Ma che bello essere liberi e sognare il bene e il meglio, non il male e il peggio! In questo desiderio l’etica non fa soltanto rima con l’estetica, ma è con essa collegata. L’espressione della solidità etica (che attiene alla moralità, e non al moralismo) ha bisogno infatti del supporto estetico, in quell’impasto misterioso che lega la forma e il contenuto. Vale per le arti (la letteratura, per esempio, dove il contenuto da solo non basta ma nemmeno la forma da sola non basta, stile e sostanza sono una unità). Ma vale per tutto, vale per la vita. È per questo che l’altra sera, guardando quella scena scomposta, rabbiosa, da razza padrona inferocita, ho sentito l’odore cattivo della violenza nel posto sbagliato, ho percepito la caduta dello stile che compromette il valore del contenuto. Lo so che rischio il pericolo del pregiudizio fine a se stesso, ma ci sono in giro talvolta certe facce e certi gesti che non promettono nulla di buono. E in questo caso, come diceva quella vecchia volpe di Giulio Andreotti, «a pensar male si fa peccato ma quasi sempre si indovina».