Commento

Un mondo di blocchi economici in conflitto

Anche in Europa, sulla scia degli Stati Uniti, la paura della deindustrializzazione segna il ritorno della politica industriale: i Governi nazionali lanciano le proprie iniziative
Alfonso Tuor
17.05.2023 06:00

Anche in Europa, sulla scia degli Stati Uniti, la paura della deindustrializzazione segna il ritorno della politica industriale. Bruxelles ha infatti varato il proprio Chips Act di 43 miliardi di euro per favorire l’insediamento nel Vecchio Continente di attività produttive nel settore dei semiconduttori. Ma i Governi nazionali non stanno con le mani in mano e stanno accompagnando la decisione dell’UE con nuove iniziative. All’inizio di questa settimana sotto il motto «Scegliere la Francia» il presidente Emmanuel Macron ha raccolto a Versailles 200 dirigenti di grandi gruppi europei, americani e asiatici per vantare il vantaggio della localizzazione nel Paese transalpino di nuove attività produttive. L’incontro, cui ha partecipato anche Elon Musk, si è concluso con la promessa di 13 miliardi di investimenti. In Germania il Governo sta concedendo miliardi in sussidi volti ad incitare investimenti nel settore dei semiconduttori (i famosi chips): 13 miliardi all’americana Intel per produrre chips di ultima generazione, altri miliardi a Infineon e a Wolfspeed. Berlino inoltre sta convincendo la società Northvolt a non farsi abbindolare dai sussidi miliardari americani e a costruire invece in Germania un impianto per la costruzione di batterie per le macchine elettriche.

Il Governo tedesco non vuole solo attrarre nuovi investimenti, ma vuole anche evitare che le grandi industrie di base, nelle quali il Paese è campione europeo, si trasferiscano all’estero. La minaccia è stata ventilata dai dirigenti dell’industria siderurgica, chimica, del cemento, dell’alluminio e della carta che si lamentano dell’aumento dei costi dell’energia che rende non competitivi i loro prodotti. Quindi il ministro dell’economia Robert Habeck ha proposto di abbassare a 6 centesimi di euro il chilowattora (che oggi costa più di 12 centesimi) grazie a sussidi dello Stato che ammonterebbero a 25/30 miliardi di euro ogni anno. In questo modo Berlino si allinea con la Francia che ha già deciso di mantenere gli aiuti statali imposti dopo l’invasione russa dell’Ucraina per evitare un’esplosione dei costi dell’energia. Insomma, ovunque è un fiorire di iniziative per impedire la deindustrializzazione dell’Europa che altrimenti si teme si trasformerà in un museo a cielo aperto per turisti americani e cinesi.

Il ritorno in auge della politica industriale e quindi dello Stato è la presa d’atto che un franco (oppure un euro o un dollaro) non è sempre un franco, come invece viene conteggiato nei dati sul PIL. Un franco prodotto in un settore all’avanguardia è più importante di un franco che va all’estero in cambio di prodotti finanziari (sovente debito riconfezionato), di distrazioni effimere o di patatine fritte. Questa consapevolezza è maturata grazie alla crisi del Covid, a quella energetica dopo l’invasione russa dell’Ucraina e soprattutto grazie alla sfida economica cinese. Essa sconfessa l’ideologia liberista del primato del mercato, poiché le leggi del mercato, in voga nell’ultimo ventennio, spingono a produrre dove i costi del lavoro sono inferiori e hanno quindi favorito il processo di deindustrializzazione dei Paesi occidentali. Inoltre queste politiche industriali confermano pure che il vento della globalizzazione è sempre più debole, poiché non può prosperare in un mondo di sussidi, di aiuti statali e di misure protezionistiche.

Superare la globalizzazione non è comunque un’operazione facile, poiché non si riorganizzano le catene produttive da un giorno all’altro. Anzi è un processo lungo e molto costoso, e oggi si è nel bel mezzo di un guado che prefigura un mondo di blocchi economici, commerciali e anche monetari in conflitto tra loro. Purtroppo questa ristrutturazione globale non è destinata solo a riguardare gli aspetti economici e commerciali, ma anche quelli geopolitici. E questa, purtroppo, non è una prospettiva, ma è già una realtà sotto gli occhi di tutti.