Una linea coerente contro l'inflazione

L’inflazione è la più iniqua delle tasse, secondo la definizione di Luigi Einaudi, perché colpisce maggiormente i redditi medio-bassi, che vanno necessariamente in gran parte in consumi. Vale la pena di ricordare questo punto e dunque la priorità della lotta contro l’inflazione, vista la confusione ancora esistente sulla questione. Negli anni passati quasi tutte le maggiori banche centrali, con il consenso di molti media e analisti, hanno implicitamente dato per scomparsa la categoria dell’inflazione alta (prezzi in forte aumento), esagerando nettamente nella lotta contro i rischi di deflazione (prezzi in diminuzione). Adesso che l’onda dei rincari si è incaricata di far finalmente cambiare linea agli istituti centrali, una parte degli opinionisti che hanno sbagliato sui rischi di deflazione indica, anziché riflettere sull’errore, che non bisogna combattere troppo contro l’inflazione.
Uno degli argomenti principali utilizzati da quanti fanno capire che le banche centrali devono essere molto più caute, o addirittura fermare gli aumenti dei tassi di interessi anti rincari, è che questa lotta contro l’inflazione porta alla recessione. Ma le cose non stanno necessariamente così, occorre chiarire su entrambi i versanti, inflazione e crescita/recessione. Una volta che è arrivata, l’inflazione alta (diciamo per capirci sopra la media annua del 2%) non si può far rientrare in poche mosse. A causa dalle precedenti politiche sbagliate delle banche centrali, delle strettoie post pandemia, delle tensioni geopolitiche e della guerra in Ucraina, di altri fattori ancora, il rincaro è andato abbondantemente oltre i limiti. In Svizzera meno che altrove, ma anche qui siamo sopra la nostra media.
L’attenuarsi di alcune delle cause indicate e i primi effetti degli aumenti dei tassi hanno permesso alcune graduali discese dell’inflazione. Ma ci sono ancora rimbalzi, a conferma del fatto che la battaglia contro il forte rincaro richiede tempo e coerenza. Le banche centrali possono e devono adattare la loro linea in modo da non colpire eccessivamente le economie, questo si sa; ma se ridiventassero troppo morbide, o addirittura fermassero totalmente l’azione sui tassi, ebbene creerebbero le condizioni per una permanenza ancora più lunga di un’inflazione elevata, con annessi e connessi. I sostenitori di una riduzione o di uno stop per la lotta al rincaro glissano su quello che è il rischio più consistente, cioè una recessione causata non dai tassi in aumento ma dal persistere di un’inflazione alta, che colpirebbe ancor più consumi e investimenti.
E qui siamo al discorso crescita/recessione. Lo spauracchio di una recessione provocata dagli aumenti dei tassi viene agitato da molti mesi, senza che i dati forniscano conferme. C’è un rallentamento economico, questo sì. Ma una recessione vera, cioè annua, a livello mondiale e delle singole maggiori aree economiche non c’è stata nel 2022 e non è al momento prevista dalle principali istituzioni economiche né per il 2023 né per il 2024, nonostante si sappia ovviamente che i tassi di interesse saliranno ancora e che la velocità delle economie sarà contenuta. Non è detto quindi che ci debba essere il segno negativo annuo per le economie. Affermare che le economie della Svizzera e dell’Eurozona si sono fermate è un’inesattezza. La crescita zero di entrambe nel quarto trimestre 2022 è stata rispetto al trimestre precedente, ma in rapporto a un anno prima ci sono stati rispettivamente un +0,7% e un +1,8%. Senza considerare che per l’intero 2022, ed è ciò che più conta, la Svizzera ha registrato +2,1% e l’Eurozona +3,5%
Gli eccessi di pessimismo e le visioni sbagliate sulla lotta all’inflazione, che va portata avanti con coerenza, conducono a valutazioni affrettate e a indicazioni incomplete.