Una miss saudita
Per la prima volta nella storia del Medio Oriente una ragazza saudita partecipa al concorso di Miss Universo. Si tratta di Rumi Al Qahtani, una giovane bellissima, dai lunghi capelli fluenti, che in una delle immagini dei servizi fotografici che ne promuovono la figura compare accanto alla bandiera dell’Arabia Saudita vestita in un abito attillato e senza traccia di velo. È una delle ultime svolte rivoluzionarie del governo del principe Mohammad Bin Salman, che in questi anni sta cercando in tutti i modi di svecchiare l’immagine e il modus vivendi dell’Arabia Saudita.
Ma che cosa significa, per un Paese conservatore e wahabita come la monarchia di Ben Salman – che sul proprio suolo ospita la Grande Moschea della Mecca, la sua kaaba, il pellegrinaggio e la tomba del Profeta Maometto – accettare l’idea che una propria cittadina partecipi a un concorso di bellezza di rilevanza internazionale? Significa forse che la bellezza, come diceva Dostoevskij, dopo aver salvato il mondo salverà anche le petrolmonarchie?
Al di là della battuta un dato è evidente: se si può ancora parlare di globalizzazione culturale e non solo mercantile, una certa globalizzazione «dei sensi» sta raggiungendo anche i Paesi del Golfo Persico.
Certo, globalizzazione in primo luogo pubblicitaria, della moda, dei beni di lusso, del denaro, del modello capitalistico. Ma ormai anche nel segno di quel valore universale che è la bellezza e le seduzioni che porta con sé.
Ma come si sposa la bellezza, in particolare quella femminile, a un contesto religioso conservatore, a suo modo integralista – ricordiamo che è la calligrafia a farla da padrona nell’iconografia islamica, non i volti e i corpi – come quello sunnita dell’Arabia Saudita? E soprattutto: quale attrito rischia di determinarsi tra queste due opposte visioni del mondo, una fondata sul sacrificio, come è quella religiosa islamica, e una fondata sul piacere, come è quella edonistica occidentale?
Naturalmente è troppo presto per tracciare ipotesi o azzardare conclusioni. Ma un dato è certo: da qui in avanti la bellezza dovrà diventare un parametro dirimente anche per capire in quali forme sopravviverà il religioso in Medio Oriente. Molte categorie verranno infatti messe in discussione, dovranno trovare una nuova configurazione e letteralmente accogliere l’insidia. E la bellezza, che evoca il piacere (non da ultimo quello sessuale), dovrà affrontare vis-à-vis uno dei cardini del pensiero religioso: quello della colpa.
In tutti e tre i monoteismi – Ebraismo, Cristianesimo, Islam – la sessuofobia è parte integrante della mentalità religiosa. E la bellezza, che in qualche modo evoca e implica la sessuofilia, il piacere per il sesso che da essa in parte deriva, si pone naturaliter come antagonista di ogni conservatorismo e in stretta competizione con il senso di colpa. Per cui prepariamoci: lungi dal rappresentare un semplice passo di svecchiamento degli usi e costumi sauditi, questa partecipazione di Rumi Al Qahtani a Miss Universo 2024 rischia di aprire le porte a un Medio Oriente finalmente pronto a guardarsi allo specchio non solo per ammirare i proprio abiti e la propria integrità morale ma anche quel termine «grazia» che designa qualcosa di talmente divino da raggiungere a volte magicamente anche l’uomo (e la donna, in primo luogo).