Una situazione complicata

Recentemente molte aziende hanno manifestato grandissima preoccupazione per la presunta forza del franco e per il rincaro dei prodotti energetici.
Per quanto riguarda la nostra moneta bisogna considerare che l’inflazione da noi è stata nettamente inferiore a quella di altri Paesi economicamente importanti e tale rimarrà ancora per anni. Nel momento in cui scrivo gli ultimi dati pubblicati sono l’8,3% per gli Stati Uniti, il 9,1% per l’area dell’euro e il 3,5% per la Svizzera. Esiste dunque una differenza di circa il 5% a favore del nostro Paese. Qualora si ammetta che tale differenza non muterà sensibilmente in futuro, come è probabile, si concluderebbe che il franco dovrebbe rivalutarsi ogni anno del 5% nei confronti del dollaro e dell’euro. In questo caso la competitività delle nostre aziende che esportano negli Stati Uniti o nell’area dell’euro non soffrirebbe e, inoltre, non importeremmo inflazione. È possibile anche che, a causa degli interventi della Banca nazionale svizzera attuati per molti anni allo scopo di indebolire artificialmente il franco, esista le necessità di effettuare un ricupero, ossia di rafforzare ulteriormente il franco. Secondo calcoli dell’UBS, se si prende in considerazione la parità dei poteri di acquisto, il dollaro dovrebbe collocarsi a 0.80 contro franco.
Quanto ai prezzi dei prodotti energetici, molto dipende dalle mosse di Putin e dalle reazioni dei Paesi occidentali, messi purtroppo in una posizione di debolezza dalle loro imprevidenze e in particolare dall’errore della Merkel di rendere la Germania dipendente dalla Russia per le forniture. Iniziative statali per abbassare i prezzi o aiutare in altro modo le aziende avrebbero come conseguenza che la domanda non si ridurrebbe, per cui i prezzi riceverebbero altre spinte inflazionistiche; inoltre quanto pagato in meno oggi si pagherebbe più tardi sottoforma di imposte. Una eventuale richiesta alla banca nazionale di intervenire di nuovo per indebolire il franco sarebbe contradditoria perché proprio la forza della nostra moneta riduce il costo dei beni e servizi importati, compresi i prodotti energetici.
Per una parte importante dell’economia è sicuramente un momento brutto. Sarebbe un vantaggio se le aziende disponessero di riserve notevoli ma purtroppo gli aiuti e i salvataggi eseguiti dagli enti pubblici in passato hanno fatto nascere un modo di pensare secondo il quale non occorre creare molte riserve perché in caso di necessità il Governo e le autorità monetarie risolverebbero i problemi. D’altro lato i tassi di interesse bassissimi e le politiche monetarie larghissime hanno mantenuto in vita aziende che in condizioni normali non sarebbero sopravvissute e ora incontrano difficoltà. Al riguardo avvertimenti vennero dati, ma si preferì non ascoltarli.
Nel caso della Svizzera la situazione è resa particolarmente complicata perché, non soltanto il lassismo monetario, ma anche la politica dei cambi, tendente a far scendere il franco, ha contribuito ulteriormente a favorire oltre misura il sorgere di nuove aziende o l’ingrandimento di quelle esistenti senza reale giustificazione economica. Curioso è il fatto che la Banca nazionale, dopo aver affermato per anni che il franco era sopravvalutato, improvvisamente ha trovato che non lo è più e ha riveduto il suo comportamento. Questa specie di «conversione» ai principi della buona gestione monetaria merita apprezzamento, anche se è giunta tardi. Ora certe aziende starebbero esaminando l’eventualità di trasferire la produzione in altre nazioni. Sarebbe doloroso, specialmente se si considera il lavoro degli imprenditori per organizzare la delocalizzazione ed i disagi causati ai dipendenti. D’altra parte però la Svizzera riceverebbe un contributo alla soluzione di problemi come la sovrappopolazione, le crescenti esigenze di infrastrutture (per le quali è spesso difficile reperire un posto, vista la ristrettezza del territorio), la soppressione di superfici verdi, certe difficoltà di approvvigionamento e tanto altro.