Una svolta per le lingue

L’approvazione da parte del Gran Consiglio zurighese di una mozione volta a cancellare l’insegnamento del francese dalle scuole elementari ha scatenato un putiferio a livello nazionale. Tanto meglio. Incita a rilanciare su nuove basi una discussione essenziale per la scuola, gli alunni e la Svizzera plurilingue. Occorre anzitutto considerare le ragioni invocate da Zurigo per fare questo passo. Il Gran Consiglio fa notare che l’importanza del francese sul posto di lavoro nel Cantone-fulcro economico del Paese è minima: viene parlato da 61.000 persone mentre l’inglese da 315.000 persone. Anche come lingua madre parlata in ambito domestico è négligeable: l’albanese è più parlato del francese e - considerando le lingue nazionali - a Zurigo l’italiano è più parlato del francese. Il rapporto VECOF sulle competenze linguistiche degli studenti svizzeri indica inoltre che i giovani svizzeri tedeschi non raggiungono il livello richiesto in francese (e i Romandi in tedesco), mentre tutti riescono in inglese. Quasi in risposta a Zurigo, nei giorni scorsi il Governo di Nidwaldo ha lanciato una bomba. Chiede alla Conferenza svizzera dei direttori della pubblica educazione (EDK) di rendere obbligatorio in tutti i Cantoni l’insegnamento di una seconda lingua nazionale in quinta elementare, mentre quello dell’inglese dovrà iniziare in prima media. Per il Capo del Dipartimento educazione, Res Schmid, la strategia nazionale dell’insegnamento delle lingue adottata dall’EDK nel 2004 si è rivelata un insuccesso. Il suo scopo era imparare due lingue straniere e l’insegnamento precoce è la via da seguire, si diceva: «Oggi dobbiamo constatare che quella via era sbagliata». La maggioranza dei Cantoni svizzero tedeschi ha infatti optato per l’insegnamento dell’inglese in terza elementare relegando il francese in quinta. E in tutti i Cantoni gli alunni delle elementari hanno dovuto subire il sovraccarico di tre lingue, ciò che ha prodotto più danni che vantaggi. Res Schmid fa notare che «nella Svizzera tedesca la maggioranza degli alunni entrano in contatto presto con l’inglese nella vita quotidiana». Sono già in confidenza con la lingua che studierebbero poi alle medie, mentre con il francese non hanno questa familiarità e un primo contatto già alle elementari è quindi necessario. Il Canton Nidwaldo è convinto che la decisione (non definitiva) del Gran Consiglio zurighese sia un segnale del fallimento dell’anacronistico compromesso sulle lingue del 2004. Ci vuole una sola lingua straniera alle elementari e deve essere una lingua nazionale. Per evitare che sia il Consiglio federale stesso a imporre norme federali ai cantoni sull’insegnamento delle lingue nazionali (la minaccia è stata ribadita giorni fa dalla Consigliera federale Baume-Schneider), è l’EDK che deve correggere subito il tiro. L’idea (da valutare) lanciata da Nidwaldo arriva al momento opportuno: in una fase di acceso dibattito nazionale sulle lingue a scuola ma anche sull’uso precoce dei dispositivi digitali (dove l’inglese è lingua d’uso). Portare tutti i ragazzi delle elementari ad avvicinarsi a una lingua diversa dalla propria, ma vicina perché presente sul nostro territorio, prima di finire nell’inglese della rete può essere educativo e arricchente. Questo passo potrebbe essere proficuo, a patto che nel prosieguo della formazione il plurilinguismo venga approfondito.
Purtroppo, il nuovo progetto di riforma delle scuole liceali del Canton Zurigo lascia intravedere una visione ben diversa. Dalla prima bozza di riforma presentata lo scorso anno è infatti scomparso uno degli ambiti di competenza inizialmente considerati importanti, dal titolo «Cultura e plurilinguismo della Svizzera». Avrebbe permesso di introdurre i futuri maturandi alla «conoscenza delle letterature, dei media e dei fenomeni culturali delle diverse regioni linguistiche e delle dimensioni storico-politiche del plurilinguismo elvetico». Questo obiettivo è stato invece cancellato dalla riforma poiché esperti e docenti l’hanno ritenuto «una troppo restrittiva focalizzazione sulla Svizzera». Se esperti e docenti non capiscono che spiegare come funziona la coesistenza pacifica di lingue e culture diverse in Svizzera non vuol dire ripiegarsi sul proprio orticello ma offre strumenti critici per leggere il mondo complesso e multiculturale in cui viviamo, allora temo che abbiamo un problema.