Il commento

Zelensky e il tour a caccia di consensi

Una preoccupazione crescente, tra le tante, agita i pensieri del leader ucraino — La solidarietà rimane (e ci mancherebbe) ma è inevitabilmente più tiepida
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
15.05.2023 06:00

C’è una preoccupazione crescente tra le tante - e non sappiamo sinceramente come faccia - che agitano i pensieri di Volodymyr Zelensky. E lo si è percepito chiaramente nel corso della sua visita romana, tanto attesa, celebrata e probabilmente inutile. Il tour europeo del presidente ucraino (ieri in Germania) ha certamente lo scopo di assicurarsi nuovi aiuti militari ed economici, ma soprattutto di non perdere il consenso delle opinioni pubbliche. In calo. Per naturale stanchezza. Lo dimostra anche l’eccezionale partecipazione di Zelensky, sabato scorso a Roma, allo speciale di Porta a porta, la trasmissione di Bruno Vespa, svoltasi peraltro nella cornice del Vittoriano. Con un freddo e un vento fuori stagione che l’intervistato (in maglietta) sopportava meglio di tutti gli altri. Una grande voglia di ringraziare per il sostegno, l’accoglienza dei profughi, i tanti aiuti nella certezza (palpabile) che la grande partecipazione emotiva è ormai soltanto un ricordo. Questo è il punto. La solidarietà rimane (e ci mancherebbe) ma è inevitabilmente più tiepida. E bisogna non far finta di niente.

Alla vigilia della controffensiva di primavera, Kiev sente che il proprio spazio politico internazionale non è infinito. La riconquista di alcuni territori può essere alla base di un’ipotetica trattativa con una Russia in difficoltà e divisa tra gerarchie militari e mercenari. Ma ciò deve avvenire in tempi relativamente brevi. All’inizio del prossimo anno, il suo principale alleato, gli Stati Uniti, entrerà in un periodo elettorale denso di incognite. L’ex presidente Donald Trump dice che se lui fosse al potere la guerra finirebbe in 48 ore. La prospettiva di un suo ritorno alla casa Bianca inquieta Zelensky. Ma anche gli altri suoi alleati non sono in grado di concedergli un tempo illimitato. L’invio di armi - ostacolato peraltro anche dall’esaurirsi delle scorte negli arsenali occidentali - avrà una gravità politica via via crescente che rischia di influire sulla stabilità di alcuni Paesi. Il governo italiano di Giorgia Meloni ha una posizione atlantista netta. Senza alcuno sbandamento. Ed è un merito conoscendo la tradizionale volubilità degli esecutivi, ma ben due schieramenti - Forza Italia e Lega - hanno avuto rapporti di vicinanza con il Cremlino e nutrono qualche distinguo sulla prosecuzione del conflitto. Al di là dell’amicizia - confermata nonostante tutto - tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. Il Vaticano ha avviato un suo tentativo di mediazione verso il quale Zelensky non ha mostrato alcun segno di apertura. Anzi, è apparso persino sgarbato. La complessità dei rapporti con il mondo ortodosso è un ostacolo insuperabile.

Agli inizi del prossimo mese verrà rinegoziato l’accordo, anche con Mosca e mediato da Ankara, che ha reso possibile la ripresa del commercio di grano, mais e semi di girasole. Esportazioni di Kiev che hanno sollevato nei Paesi limitrofi, e anche in Polonia, la protesta degli agricoltori locali per i prezzi troppo bassi al punto di richiedere un intervento dell’Unione europea per risarcirli. Accogliamo i profughi ma non accettiamo i vostri prodotti. Un segno di normalità che si è riflesso anche nel totale disaccoppiamento fra prezzi dell’energia e di alcune materie prime agricole dalle sorti del conflitto. Soltanto un anno fa sarebbe stato impensabile. Ma, sotto sotto, anche la dimostrazione che la tensione solidale e doverosa verso una guerra d’aggressione - in democrazie immemori di come hanno conquistato la loro libertà - è purtroppo declinante nel tempo.