L'editoriale

Conferenza di Lugano, un'azione di pace

Pur senza i grandi leader, sono i temi a rivestire un ruolo centrale
Paride Pelli
04.07.2022 06:00

Oggi e domani Lugano si ritroverà alla ribalta della scena politica internazionale, come poche volte in passato. Certo, non sfileranno sul lungolago i grandi leader occidentali, ciascuno con il proprio corteo di automobili blindate e guardie del corpo, ma saranno presenti comunque Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, cinque primi ministri, due consiglieri federali, ventidue ministri più una lunga serie di segretari e sottosegretari: una folta rappresentanza che è senza dubbio un ottimo biglietto da visita per la Conferenza che affronterà il tema della ricostruzione dell’Ucraina, devastata e distrutta dal conflitto tuttora in corso dopo l’aggressione della Russia iniziata lo scorso mese di febbraio. È scontato che l’eclatante impatto mediatico che avrebbe prodotto la presenza di nomi globali come Biden, Macron, Scholz, Johnson e Draghi non ci sarà, ma è altrettanto vero che la Conferenza avrà il peso politico necessario per far parlare di sé e - cosa ancor più importante - per gettare le basi per raggiungere risultati concreti riguardo un Paese di cui le cronache europee parleranno ancora a lungo. Scriviamo questo perché la due giorni ticinese già appare, agli occhi di alcuni commentatori, come un’incompiuta, solo perché non c’è il presidente degli Stati Uniti in città. Per fortuna, saranno i temi trattati - ancora prima delle persone - a rivestire un ruolo centrale nella Conferenza che il presidente della Confederazione Ignazio Cassis ha voluto portare a Lugano, riuscendo abilmente nel suo intento.  

Si tratta davvero di un’iniziativa importante per la visibilità della Città: grazie all’endorsement di Cassis, a Lugano vedrà la luce un primissimo piano di lavoro diplomatico e politico per far rinascere l’Ucraina, uno schema che verosimilmente verrà sì aggiornato molte altre volte, in base al prosieguo del conflitto, ma che resterà legato alle idee che si svilupperanno nelle prossime ore. Se le lunghe discussioni avranno buon esito, potremmo avere un «Piano Lugano» che legherà il nome della città alla più grande (e difficile) impresa di ricostruzione post-bellica degli ultimi decenni. Nella Conferenza si tracceranno a grandi linee i principi e i metodi di questa enorme missione: compito tutt’altro che astratto, poiché implica un soprannumero di prese di posizione e di decisioni. Come allo specchio, l’Occidente dovrà mostrarsi fedele ai propri valori e ai propri criteri: la ricostruzione dell’Ucraina, che da un paio di settimane ha lo status ufficiale di candidato all’adesione all’Unione europea, non potrà che essere organizzata intorno a norme liberali, allo stesso tempo chiare e severe, e seguire idealmente il percorso compiuto da altre nazioni europee negli ultimi anni.  

Insomma, la Conferenza servirà indubbiamente tanto all’Ucraina quanto all’Occidente e alla Svizzera, a quest’ultima per riproporsi nel suo ruolo di Paese promotore della pace: neutrale, sì, ma non indifferente alle sorti del Continente. E non si dica, infine, come da alcune parti suggerito, che il summit di Lugano è un’iniziativa prematura. Non lo è per una ragione banale quanto significativa: iniziare a proporre questi temi nel dialogo internazionale, a guerra non ancora conclusa, è già un passo verso la pace. Un segnale inequivocabile sull’obiettivo che tutti i Paesi partecipanti intendono perseguire, nessuno escluso. 

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