Pensieri dal battellino

Cose turche

Ritornati sul Ceresio dopo esperimenti di navigazione sul Bosforo, abbiamo ritrovato le solite cose
Bruno Costantini
17.05.2025 06:00

Questa settimana, tornati a navigare con il battellino per trasportare il Barbera fatto col mulo, al pontile di San Rocco io e Asia ci siamo beccati dei «lifroc», che in dialetto nostro, importato da quello milanese, significa lazzaroni, sfaccendati, debosciati, finanche idioti. L’accusa dell’improvvisato «comité d’accueil» è quella d’essere spariti senza dire nulla proprio quando si cambiavano i Papi e c’era gran bisogno di bagnarsi il gargarozzo con un bicchiere di quello buono per tenere a bada le emozioni e orientarsi tra le molteplici interpretazioni dei vaticanisti, quelli competenti e quelli farlocchi sentenziosi con sprezzo del ridicolo. Ebbene, quasi paradossalmente (ma non troppo dove prima dell’islam è passato il cristianesimo), la notizia dell’ascesa al soglio di Pietro di Leone XIV noi l’abbiamo appresa bevendo Raki in riva al Bosforo, con in sottofondo il richiamo dei muezzin ai musulmani per la preghiera della sera. La mia amica, invitata a Istanbul/Costantinopoli per un convegno di influencer e content creator sulla libertà digitale fra Oriente e Occidente, m’ha chiesto di accompagnarla e così, seguendo i consigli del caporedattore della cultura del CdT, abbiamo fatto anche esperimenti di navigazione sul Bosforo con un battellino locale carico di Raki. Con prudenza, però, perché il sultano Erdogan vigila e non c’è mica da far gli scemi con toni linguacciuti su Instagram e TikTok. Asia s’è trattenuta ma ha dato in escandescenze quando ha saputo dell’incontro di Istanbul sulla pace in Ucraina. Non gliel’avevano detto, accidenti, proprio a lei che era già lì e che con un selfie assieme a Zelensky, Putin e Trump avrebbe potuto uscire dal suo basso status gerarchico di microinfluencer del lago ed elevarsi al rango di analista di rapporti internazionali.

Visto com’è andata, con il trio presidenziale che non s’è incontrato, la mia amica avrà occasione per rifarsi. Glielo auguro, perché ritornati sul Ceresio abbiamo ritrovato le solite cose: chi parla di dipartimentalismo (è quasi una presa per i fondelli questa scoperta dell’acqua calda), chi di revisione della spesa (ovviamente da applicare agli altri), chi di premi di cassa malati sfornando ricette e compromessi (in attesa del redde rationem popolare dell’autunno). Sono cerotti cantonali che non cambiano il problema dei costi della salute e del sistema nazionale che è al collasso. Chissà, forse il Trumpone, che ne fa e ne spara tante, ha ragione nell’imporre all’industria farmaceutica di abbassare i prezzi dei medicinali. Non è forse anche un problema della Svizzera? Sul battellino saremo dei «lifroc», anche un po’ populisti, va bene, probabilmente non in grado di capire le argomentazioni della potente lobby farmaceutica, ma il dubbio deve essere concesso mentre ci si straccia le vesti per le continue stangate sul povero ceto medio, la vittima sacrificale perfetta. Un po’ come lo è Tiziano Galeazzi nell’UDC di Lugano. Prima ha perso il seggio in Municipio con l’entrata in scena dell’ex presidente nazionale democentrista Marco Chiesa; ora, nel solito valzer spartitocratico delle poltrone non privo di discutibili espedienti per arraffare cadreghe ben remunerate, sempre a favore dell’appetito gagliardo di Chiesa è stato uccellato per la nomina nel cda delle AIL. Il sistema è però collaudato e prevede congrue compensazioni per trombati: Galeazzi sarà quindi proposto per il cda del Casinò. Potrà fidarsi? Asia stavolta tifa per lui. Cose turche.

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