Donne discriminate nel mondo del lavoro? No, non è una teoria

Nelle pur frequenti notizie sulla disoccupazione non vengono mai forniti dei dati su un aspetto che pure sarebbe interessante conoscere: quante sono le donne, rispettivamente gli uomini, che ne sono colpiti. Fosse vera la teoria che si sente ripetere di continuo, secondo cui le donne, A LAVORO UGUALE, verrebbero pagate meno, la disoccupazione dovrebbe colpire solo gli uomini. Sì, perché i datori di lavoro dovrebbero avere tutto l’interesse a lasciare a casa i dipendenti che, in base a questa teoria, costano di più e a tenersi invece quelle che (si dice) costerebbero di meno. Se così non è, è segno che la teoria di ci sopra scricchiola. Può darsi che nel complesso le donne guadagnino MEDIAMENTE meno, ma per lavori diversi; non già «a parità di lavoro», come si continua petulantemente a ripetere. Non sembra anche a Lei?
Franco Celio, Ambrì
La risposta
Caro Franco Celio, in realtà i dati sulle differenze tra donne e uomini nel mondo del lavoro e della disoccupazione sono pubblici e noti. E indicano realtà diverse da quelle che lei presenta. Ne fa stato la recente pubblicazione intitolata «Le Cifre della parità online. Un quadro statistico delle pari opportunità fra i sessi in Ticino» edizione 2022, curata dall’Ufficio cantonale di statistica. Leggendo questo documento ufficiale che chiunque può consultare gratuitamente su internet, si evince, per cominciare, che «le donne sono più toccate dalla disoccupazione. Nel 2021 questo si riscontra in tutte le classi d’età, soprattutto in quella più giovane (25-34 anni), così come dai 45 ai 54 anni». Entrando nel dettaglio: tra i 25 e i 35 anni il tasso di disoccupazione tra gli uomini è del 7,6% contro il 10,1% delle donne; tra i 35 e i 44 è del 6% per gli uomini e del 7,4% per le donne, tra i 45 e i 54 del 5,8% per gli uomini e dell’8,7% tra le donne. Lei tuttavia sostiene che se le donne venissero davvero pagate meno degli uomini («come si sente ripetere di continuo», osserva) ci sarebbero molti più uomini disoccupati. Beh, anche questo non corrisponde al vero. Anzitutto va detto che esiste in partenza un filtro che tendenzialmente blocca le donne ai piani bassi della carriera: «Meno di una donna su sei esercita una funzione di responsabilità o è membro di direzione, mentre meno di un uomo su tre occupa queste posizioni. Al contrario, le donne occupano più spesso degli uomini posti senza funzione di responsabilità e lavorano meno come indipendenti». In ogni caso, anche a parità di ruolo guadagnano di meno. Certo, «una parte della differenza salariale – il 55% nel settore privato e il 77% in quello pubblico – può essere spiegata da fattori oggettivi come l’anzianità di servizio, la responsabilità o il ramo economico». Ma non bisogna dimenticare che « la parte restante non può essere spiegata attraverso questi criteri e succede che le donne siano meno pagate anche a parità di queste condizioni: all’interno di questa quota, decisamente più alta nel settore privato, si cela verosimilmente una parte di discriminazione salariale». Non aggiungo altro.