È l'ora del «grande Sud globale»

È giunta l’ora del «Grande Sud globale» formato dai 140 Paesi che non hanno adottato sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Non si tratta di un blocco unito e compatto, ma di Paesi insofferenti all’egemonia occidentale e desiderosi di rimettere in discussione le relazioni internazionali e soprattutto i meccanismi di funzionamento delle istituzioni economiche sovranazionali (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale) create dagli Stati e dai loro alleati al termine della Seconda guerra mondiale. Si tratta di un fenomeno destinato a cambiare gli equilibri geopolitici ed economici mondiali e non di un fenomeno effimero, come alcuni hanno cercato di derubricarlo, simile al Movimento dei non allineati, fondato nel 1955 a Bandung in Indonesia e poi persosi nel nulla. Allora il contesto internazionale era completamente diverso: si era nel pieno della «Guerra fredda» tra Stati Uniti e Unione Sovietica e in un periodo di boom economico dei Paesi occidentali, che esercitavano una grande forza di attrazione nei confronti di quelli che allora si chiamavano Paesi in via di sviluppo. Oggi la realtà è completamente diversa: l’Unione Sovietica non c’è più; dalla crisi finanziaria del 2008 la crescita occidentale balbetta; la globalizzazione, che ha favorito una forte e rapida crescita di alcuni Paesi poveri, viene rimessa in discussione dallo stesso Occidente che l’aveva fortemente voluta; infine viene sempre più contestato il ruolo internazionale del dollaro, simbolo della supremazia americana. A queste differenze si aggiunge il ruolo di guida e di aggregazione assunto dai BRICS (un gruppo formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che terrà la settimana prossima un vertice proprio in Sudafrica. I temi in discussione saranno due. Il primo, la definizione dei meccanismi di adesione a quello che sarà il BRICS Plus di una ventina di Paesi che hanno presentato la domanda di adesione. Tra essi figurano Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Iran, Indonesia, Vietnam, Argentina. Messico, Nigeria, Senegal e Kazakistan. Con l’entrata di questi Paesi i BRICS diventerebbero un gruppo gigantesco con più della metà della popolazione mondiale e con un PIL attorno al 40% di quello dell’intero pianeta.
Il secondo tema in discussione al vertice in Sudafrica della prossima settimana sarà la creazione e diffusione di nuovi meccanismi di pagamento che aggirino il dollaro. È bene subito precisare che non si vuole affatto creare una moneta concorrente con il dollaro. A un tale proposito si oppongono sia l’India, sia la Cina, che non vuole aprirsi alla libera circolazione dei capitali. In discussione è invece l’ulteriore allargamento degli accordi swap tra le banche centrali che già permettono il pagamento degli scambi commerciali bilaterali nelle monete locali con una regolazione del saldo (positivo o negativo) a una determinata scadenza. Questa prassi già molto diffusa permette di aggirare le sanzioni occidentali e riduce sensibilmente il ruolo del dollaro quale moneta di scambio. Infatti a queste misure si affiancano i forti acquisti di oro, soprattutto di Cina, Russia e India, che sostituiscono il dollaro nelle riserve delle loro banche centrali. E infatti il ruolo del dollaro, come moneta di riserva, sta leggermente calando anche perché le banche centrali occidentali tendono a preferirgli monete terze come in won sudcoreano e il franco svizzero.
Il vertice dei BRICS della prossima settimana dovrà scontare comunque l’assenza di Vladimir Putin, sostituito dal ministro degli Esteri Lavrov, e le difficoltà della crisi dell’economia cinese dovuta allo scoppio dell’enorme bolla immobiliare. Ma questi avvenimenti non metteranno in discussione gli obiettivi principali del gruppo, ossia il passaggio da un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti a un mondo multipolare, una riforma delle istituzioni economiche sovranazionali che dovrebbe prevedere anche la fine del ruolo mondiale del dollaro, anche perché sia in India, sia in Africa si sta sviluppando un ampio dibattito sulle conseguenze culturali ed economiche della colonizzazione. E una storia comune è il forte e vero collante che unisce gran parte di questi Paesi.