L'editoriale

Berna-UE, vecchi e nuovi ostacoli

La segretaria di Stato uscente Livia Leu è solo l’ultima di cinque diplomatici che, per ragioni diverse, hanno dovuto abbandonare in corso d’opera o non sono riusciti nell’intento
Giovanni Galli
20.05.2023 06:00

Un giorno, l’attore Peter O’Toole (il protagonista di Lawrence d’Arabia), raccontò una scena di vita militare in cui un istruttore mise alla prova un allievo ufficiale chiedendogli come avrebbe fatto a trasportare una botte di due quintali oltre un muro di cinque metri con una corda che ne misurava solo tre. «Sergente, faccia passare quella maledetta botte sopra quel muro!» rispose l’allievo. «Non ci crederete, ma era la risposta giusta», disse divertito O’Toole. L’aneddoto si può adattare alla storia recente dei rapporti fra Svizzera e UE, con i diversi capinegoziatori nel ruolo del sergente al quale è stata affidata la missione di superare un ostacolo in condizioni proibitive. La segretaria di Stato uscente Livia Leu è solo l’ultima di cinque diplomatici che, per ragioni diverse, hanno dovuto abbandonare in corso d’opera, senza ultimare il lavoro. Non per niente, a Berna la carica di caponegoziatore viene ormai definita «seggiolino eiettabile». Certo, qualcuno è stato corresponsabile del proprio congedo, fra chi aveva proposto per primo la preminenza della Corte di giustizia europea nella risoluzione delle controversie e chi aveva decantato le virtù dell’accordo quadro istituzionale, inimicandosi mezza classe politica. Ma sullo sfondo, a complicare le cose, ci sono sempre state due costanti: l’intransigenza di Bruxelles e l’indecisione di Berna. Leu ha gettato la spugna in un momento delicato, tra la conclusione dei colloqui esplorativi (manca un solo round) e la presentazione di un mandato negoziale, annunciata dal Consiglio federale per la fine di giugno. Ma non lascia un vuoto incolmabile, sebbene la sua partenza anticipata sia stata letta come una sventura dai più accesi fautori di un’intesa con Bruxelles. I negoziati non sono ancora cominciati e spetterà a chi succederà a Leu - i pretendenti non mancherebbero - condurli sul campo. La vera questione non è di persone, ma di sostanza, vale a dire le reali ragioni che hanno spinto la segretaria di Stato a farsi da parte. Le indiscrezioni pubblicate (e non smentite) negli scorsi giorni dalla «SonntagsZeitung» sul fatto che dietro un ottimismo di facciata sarebbe cambiato poco o nulla rispetto al vecchio accordo quadro istituzionale, e che non ci sarebbero veri margini di manovra per negoziare, sono eloquenti. Vuol dire che le premesse per un’intesa non sono buone perché, mutatis mutandis, sul tavolo si ripresentano gli stessi nodi che non erano stati sciolti due anni fa, a cominciare dal ruolo della Corte di giustizia europea.

Il Consiglio federale, che parla di «dinamica positiva» nei rapporti con l’UE, ha messo a segno qualche punto. Ha varato un nuovo approccio settoriale che regola le questioni istituzionali (compresa quella della ripresa dinamica del diritto UE) nei singoli nuovi accordi di accesso al mercato che Berna intende sottoscrivere con Bruxelles, e non tramite un’intesa mantello. L’UE sarebbe pronta a procedere in questo senso. Per la Svizzera, questo approccio innovativo potrebbe essere un’occasione per evitare la clausola ghigliottina e per rendere più facile l’inserimento di eccezioni. La stessa Commissione europea, tramite il suo vicepresidente Maros Sefcovic, ha dichiarato che intende giungere a una soluzione entro l’estate del 2024, prima che entri in carica il nuovo Esecutivo comunitario. L’UE, inoltre, ha detto che la decisione sul mandato negoziale aiuterà a «liberare il pieno potenziale della nostra cooperazione, anche in altri settori come l’elettricità, la salute e la sicurezza alimentare». Il Consiglio federale avrà dalla sua i Cantoni, che nelle scorse settimane hanno accettato il ruolo della Corte europea nella risoluzione delle controversie che riguardano l’interpretazione del diritto comunitario.

Resta comunque il rovescio della medaglia. Sulla ripresa del diritto e soprattutto sul ruolo della Corte europea, che in Svizzera continuano a suscitare preoccupazioni per la perdita di sovranità, Bruxelles pare essere inflessibile. Indipendentemente dall’approccio, il nodo è destinato ad arrivare al pettine. Le questioni istituzionali restano quindi un passaggio obbligato e anche un fattore decisivo a livello politico interno. Le posizioni non sarebbero cambiate nemmeno su altri punti problematici, come la tutela salariale e la direttiva sulla cittadinanza. Il direttore dell’USAM Hans-Ulrich Bigler ha detto al settimanale che in ambito di cauzioni e di controlli salariali la situazione è la stessa di due anni fa, mentre il presidente dell’USS Pierre-Yves Maillard (sulla SRF, il 1. maggio) ha ribadito, alla luce dell’esempio austriaco, di essere contrario a sottoporre la protezione dei salari alla giurisdizione della Corte europea. Inoltre, continuano a sussistere internamente divergenze tra imprenditori e rappresentanti del mondo del lavoro. A rendere ancora più arduo il tutto ci sarebbero anche nuove richieste di Bruxelles in altri dossier, come i trasporti ferroviari e la liberalizzazione del mercato elettrico. Una discussione, quindi, oggettivamente complicata, in un contesto generale reso ancora più ostico dall’alto tasso di immigrazione. Avanti il prossimo sergente.