L'editoriale

Caso JJ4, per l'orso non basta la zona protetta

Al di là delle faziosità estreme che un dramma del genere produce e continua a produrre, ci si potrebbe chiedere che tipo di società è diventata la nostra
Giona Carcano
24.04.2023 06:00

La vicenda dell’orsa JJ4, che a inizio mese ha ucciso un runner nei boschi di Caldes, in Trentino, ci interroga direttamente. Al di là delle faziosità estreme che un dramma del genere produce e continua a produrre, ci si potrebbe chiedere che tipo di società è diventata la nostra. E se, in essa, c’è ancora spazio per questo tipo di predatori.

Dopo essere stati sterminati durante tutto l’Ottocento e l’inizio del Novecento, gli orsi sono tornati nelle Alpi a fine Millennio. Ma è stato un ritorno del tutto artificiale: l’animale è stato infatti sfruttato come attrattore turistico in Trentino. Fra il 1999 e il 2002, per ovviare alla mancanza di nascite dell’ultima popolazione di orsi sopravvissuta nella regione del Brenta, a 50 chilometri dal Parco nazionale svizzero, si è deciso di importare una decina di grandi predatori provenienti dalla Slovenia. L’operazione è stata un successo: gli orsi si sono integrati perfettamente nel nuovo habitat, moltiplicandosi. Da una popolazione di pochi esemplari, nello spazio di un ventennio i plantigradi in Trentino sono diventati più di 100.

Andava tutto bene, fino al dramma. L’orso, in Trentino, aveva raggiunto lo scopo voluto dall’uomo. Fungere, appunto, da catalizzatore turistico, manco fosse un fenomeno da baraccone. Ma la tragedia nei boschi di Caldes ha contribuito a rivelare una situazione che, prima, solo in pochi avevano avuto il coraggio di denunciare: la popolazione di orsi del Trentino era sfuggita a ogni controllo.

Facile, ora, rimbalzarsi le colpe. Ma la questione dei grandi predatori è più profonda, e non si risolve certo con la condanna a morte o il trasferimento di un orso pericoloso. Bisogna chiedersi, a distanza di un secolo dalla sua cacciata, se un animale così grande e capace di adattarsi agli ambienti e alle situazioni possa ancora trovare spazio nei boschi alpini. Zone che, a inizio Novecento, erano scarsamente o per nulla abitate, oggi sono fortemente antropizzate. Ci sono strutture per il turismo, alberghi, sentieri tematici, parchi, abitazioni primarie e secondarie. Lo stesso rapporto fra uomo e natura si è trasformato: non ci serviamo più dei boschi per le loro risorse, bensì per il puro e semplice svago.

E non basta creare zone protette, dove l’animale (ma solo in teoria) dovrebbe rimanere confinato. Lo abbiamo visto anche in Svizzera: gli orsi del Trentino, negli anni, sono giunti più volte in Engadina. E che cosa è successo? Due esemplari, poi abbattuti, si sono abituati troppo all’uomo, tanto da vagare nei villaggi in cerca di cibo. Una volta che il loro numero cresce incontrollato – come in Trentino – anche la prevenzione, gli atti di dissuasione o la chiusura di intere aree quando si riscontra la presenza di cuccioli possono non bastare a evitare drammi. Lo spiega bene il documento sulla gestione dell’orso in Svizzera, in un passaggio: «Se è inseguito e cacciato dall’uomo, l’orso vive in modo discreto e appartato. Se invece è protetto, grazie alla sua capacità di adattarsi impara rapidamente a sfruttare nuove fonti di nutrimento nel paesaggio rurale plasmato dalle attività umane». Diventando pericoloso.

Sì, la convivenza con i grandi predatori è complessa, e lo vediamo – oramai a cadenza settimanale – anche in Ticino con il lupo. Altra dinamica di ripopolamento e di diffusione, ma stessi conflitti con l’uomo. Anche da noi, come in Italia con l’orso, ci si chiede come fare. Animali utilissimi per l’ambiente, perché fungono da «ombrelli» e da regolatori per moltissime specie più in basso nella catena alimentare, ma che senza un’attentissima gestione possono arrecare numerosi danni o provocare (molto raramente, per fortuna) incidenti dagli esiti anche tragici. Non c’è nulla da fare: se, come giustamente stabiliscono le regole, la sicurezza dell’uomo ha sempre la priorità rispetto alla protezione dei grandi predatori, allora bisogna investire risorse per creare davvero le condizioni per una convivenza quanto più possibile pacifica fra uomo e animale. E bisogna accettare, talvolta, anche gli abbattimenti. L’unico mezzo, per ora, capace di garantire un certo equilibrio.