L'editoriale

Ceto medio alla ricerca dell'identità perduta

L’inflazione e gli aumenti delle spese obbligatorie (energia, casa e sanità) contribuiscono a impoverire la classe media
Generoso Chiaradonna
30.09.2023 06:00

L’inflazione e gli aumenti delle spese obbligatorie (energia, casa e sanità) contribuiscono a impoverire la classe media, gruppo sociale sempre evocato dalle forze politiche ma di difficile identificazione. In modo molto asettico la statistica la definisce come l’insieme delle persone appartenenti a economie domestiche che dispongono di un reddito lordo equivalente compreso tra il 70 e il 150% del reddito mediano dell’anno osservato. Nel caso svizzero, tenendo conto del reddito mediano mensile del 2020 (6.650 franchi mensili), chi guadagna tra i 4.650 e 9.950 franchi al mese. Lordi, s’intende. Per il Ticino, dove il reddito mediano è un po’ più basso del resto Paese, è invece classe media chi ha un reddito mensile lordo tra i 4 mila e gli 8.500 franchi. Trattandosi di circa il 60% della popolazione, è chiaramente il gruppo sociale più numeroso e variegato comprendendo al suo interno oltre a operai e impiegati, piccoli imprenditori e anche quadri dirigenti. Un mondo, insomma che sta perdendo i suoi punti di riferimento e anche rappresentanza politica da ormai qualche decennio. In poche parole, esclusi i percentili di reddito più bassi e quelli più alti potremmo dire che siamo quasi tutti classe media. Una posizione quest’ultima che però diventa sempre più precaria, anzi è sospinta verso il basso. Da asse portante e stabile della società, la classe media si sente sempre più minacciata. E non è solo una questione di reddito insufficiente o di rivendicazioni salariali, ma di paure sempre più diffuse. Tutti i partiti – dalla destra alla sinistra dello spettro politico - a parole difendono la classe media, ne elogiano la resilienza nei momenti di difficoltà, ma non riescono a dare risposte concrete. Almeno, quelle che danno non sono più adeguate ai tempi che stiamo vivendo caratterizzati da cambiamenti tecnologici e sociali rapidissimi. Prendiamo la transizione energetica. La consapevolezza del surriscaldamento climatico è ormai un dato di fatto. Chi ancora sostiene che le attività umane centrino poco con i cambiamenti climatici in atto è una minoranza molto rumorosa e folcloristica. Se però a ogni evento meteorologico estremo si punta il dito inquisitore non sui grandi inquinatori globali che ci sono e hanno nome e cognome (tra Stati e multinazionali) ma sul povero pendolare colpevole di usare la sua utilitaria per andare al lavoro o di immaginare di fare una gita fuori porta in auto, la credibilità delle politiche per diminuire le emissioni di CO2 viene meno. La minoranza folcloristica e antistorica ha quindi gioco facile a far passare il proprio punto di vista errato. Sempre sul tema energia c’è anche la visione, molto diffusa tra gli economisti, di una crescita continua di produzione e consumo. Basterebbe farlo in modo più ecologico e si otterrebbero i classici due piccioni con una fava: alimentare la ricchezza e tutelare nel contempo il pianeta. Per questo l’elettrificazione della mobilità, le energie rinnovabili, il recupero del carbonio, eccetera sono viste solo come possibilità per continuare – almeno nel mondo occidentale – a vivere come prima. È un’illusione. In un mondo finito, non esiste la pietra filosofale che trasforma qualunque cosa in oro senza sforzi e soprattutto senza conseguenze. È solo un modo per rimandare scelte più drastiche. E di questo probabilmente la società, compresa la classe media, ha sentore e timore. Allo stesso tempo percepisce come devastante l’avvento della digitalizzazione, dell’automazione e dell’intelligenza artificiale. Se si guarda alla storia, tutte le rivoluzioni tecnologiche hanno creato sconvolgimenti sociali. Pensiamo all’introduzione del telaio meccanico nell’industria tessile inglese nel 18. secolo e al movimento operaio che ne seguì. I luddisti, questo il loro nome, erano preoccupati – e a ragione – che l’innovazione tecnologica avesse conseguenze negative su occupazione e salari. E così fu. Ci volle quasi un secolo affinché il settore tessile recuperasse i livelli salariali pre-rivoluzione industriale. La transizione tecnologica allora non fu per nulla dolce. Anche oggi ne stiamo vivendo una di rivoluzione industriale che eliminerà nel breve termine tantissimi mestieri e posti di lavoro. Ne creerà sicuramente di nuovi e di migliori nei prossimi anni, ma nel frattempo cresce l’ansia di chi – e parliamo sempre del ceto medio - teme di essere sostituito non solo da docile forza lavoro straniera che si accontenta di salari più bassi in tutti gli ambiti professionali, ma da un algoritmo o un robot che non ha rivendicazioni sindacali e salariali di sorta.