Ceto medio eroso come il potere d’acquisto

C’è chi ha definito la situazione che stiamo vivendo come la tempesta perfetta. Le avvisaglie di quello che potrebbe accadere in autunno anche in Svizzera ci sono tutte: diminuzione del potere di acquisto dei redditi delle famiglie e contestuale contrazione delle attività produttive. Una doppia dinamica alimentata da un fattore che si chiama inflazione elevata e che potrebbe vanificare la ripresa economica che abbiamo conosciuto almeno fino all’invasione russa dell’Ucraina dello scorso febbraio e portarci nella recessione. Le conseguenze? Famiglie in difficoltà a far quadrare i conti a fine mese e imprese costrette ad adattare la propria struttura dei costi. Tradotto vuole dire risparmiare.
È vero, l’aumento dell’indice generale dei prezzi in Svizzera è ancora piuttosto moderato (+3,5% su base annua) rispetto ad altre economie sviluppate. Attorno a noi si viaggia a percentuali più ampie quasi a doppia cifra. Variazioni dei prezzi al consumo che non si vedevano da almeno quattro decenni e che trovano solo parziale giustificazione nell’impennata dei prezzi delle materie prime a seguito dello scoppio della guerra. Una situazione simile a quella dell’inizio degli anni ’70 con la guerra del Kippur, ovvero l’aggressione simultanea di Israele da parte di Egitto e Siria e la successiva crisi petrolifera. Le famose domeniche senza auto sono uno degli eventi che segnarono la memoria collettiva di allora e identificarono uno dei costi collettivi di quella guerra in Medio Oriente. Oggi siamo agli appelli da parte delle autorità alla moderazione nei consumi facendoci scoprire fuori tempo massimo i consigli delle nostre nonne a non sprecare corrente.
Tornando alle dinamiche inflazionistiche attuali, bisogna però tenere conto che la struttura dei costi svizzeri – per imprese e famiglie – è molto più elevata rispetto ad altre economie: anche aumenti percentuali lievi si trasformano in pesanti fardelli che non possono sempre essere sopportati a lungo senza conseguenze negative. Prendiamo l’esempio dei costi dell’energia elettrica. La stessa AIL, la principale azienda distributrice in Ticino, ha annunciato per l’anno prossimo aumenti nell’ordine tra il 30 e 40%. Ognuno è in grado di capire quanto ciò inciderà sulle proprie finanze. Il calcolo è facile, facile: per i teorici mille franchi di corrente di quest’anno ce ne vorranno, nella migliore delle ipotesi, più di 1.300 l’anno prossimo. E questo per ricevere la stessa quantità di prodotto. E così via per altre spese obbligatorie calibrate per tutte le tasche – siano esse di famiglie e imprese – su cui non si può incidere molto come l’olio da riscaldamento o i carburanti. Il Consiglio federale ha scelto, contrariamente ad altri governi europei, di non intervenire. I tagli fiscali, almeno quelli sui carburanti e simili, non sono nella sensibilità di Berna. E nemmeno l’interventisimo statale che abbiamo conosciuto durante la pandemia.
Altro macigno sulle spalle delle famiglie dell’ormai sfuggente ceto medio sono i premi di cassa malati. Tra poche settimane ci sarà il rituale annuncio e anche in questo caso l’erosione del potere di acquisto – per chi non beneficia di sussidi pubblici – è garantito. Una coppia con due figli piccoli e un reddito non da nababbi, ma sufficiente da escluderli dai contributi pubblici, quest’anno pagava circa 14 mila franchi l’anno che è molto più – sommando imposte cantonali, comunali e federali – dell’esborso fiscale. Quanto peserà l’anno prossimo questa voce? Il conto è sempre quello della serva: tra il 5 e il 10% ovvero tra 700 e 1.400 franchi in più. Sono tutte risorse, quelle bruciate dall’aumento dei prezzi di beni e servizi obbligatori, che non si trasformeranno in futuri consumi o risparmi. Le rivendicazioni salariali sono nell’aria. Oggi l’Unione sindacale svizzera presenterà le proprie richieste che ovviamente non piaceranno alla controparte imprenditoriale. Eppure, bisognerà in qualche modo compensare almeno una parte del potere di acquisto eroso. Il rischio è che il ceto medio si riduca ancora di più.