L'editoriale

Chiarezza sul quadro, incertezza sul voto

Strada ancora carica di incognite per il pacchetto di accordi con l’UE
Giovanni Galli
25.10.2025 06:00

Qualcuno manca ancora all’appello ma il quadro di partenza è chiaro. Fra riserve e distinguo, il pacchetto di accordi con l’UE è sostenuto dalla maggioranza del mondo politico (con la ferma opposizione dell’UDC), dalle principali associazioni economiche (l’USAM, critica, si esprimerà in via definitiva martedì prossimo mentre i contadini non hanno preso una chiara posizione pro o contro), dai sindacati e, da ieri, anche dalla Conferenza dei governi cantonali. Per una presa di posizione comune serviva il consenso di almeno 18 Cantoni. A sostenere il pacchetto negoziato con l’Unione europea sono stati in 21. Tra i firmatari non c’è il Ticino, che lamenta l’assenza, nella presa di posizione, di adeguate misure compensatorie interne. Dopo il 31 ottobre, il Consiglio federale farà una sintesi della consultazione ed entro marzo dovrebbe trasmettere il messaggio al Parlamento. Poi seguirà una lunga fase di esame, sia dei nuovi bilaterali sia delle misure di accompagnamento svizzere, in particolare a livello istituzionale (ripresa del diritto) e di tutela del mercato del lavoro. La strada è quindi ancora ostica e carica di incognite. Si stima che non si andrà alle urne prima del 2028. In due anni potrà quindi scorrere molta acqua sotto i ponti, sia in Svizzera, sia nell’Unione europea (si pensi alla situazione della Francia e della Germania), sia a livello geopolitico (conflitto in Ucraina).

Fra le incognite c’è anche quella del tipo di referendum a cui sottoporre il pacchetto. Per il Consiglio federale, alle urne deve bastare la maggioranza dei votanti. L’ultima parola, in ogni caso, l’avrà il Parlamento. Nel 1992, l’adesione allo Spazio economico europeo venne sottoposta alla doppia maggioranza di popolo e Cantoni, mentre per il primo e secondo pacchetto di bilaterali venne ritenuta sufficiente la sola maggioranza popolare. La questione è controversa giuridicamente e combattuta politicamente. La doppia maggioranza, invocata soprattutto dai contrari (ma non solo) alza l’asticella. Si stima che per superare la soglia dei Cantoni il pacchetto deve essere approvato da almeno il 55% dei votanti. La (non) decisione di ieri della Conferenza dei governi cantonali non ha spostato gli equilibri ed è anche emblematica del dilemma che attraversa il mondo politico. Una maggioranza dei Cantoni è favorevole al referendum facoltativo ma il quorum per una chiara presa di posizione a nome della «categoria» non è stato raggiunto. Un’eventuale decisione a nome della Conferenza dei governi, pur non avendo alcun effetto vincolante, avrebbe avuto il suo peso e complicato le cose in Parlamento per la causa della doppia maggioranza. I giochi, quindi, restano più aperti che mai. Si potrà avere qualche indicazione in più la settimana prossima, quando il Centro presenterà la sua risposta alla consultazione. Si sa che anche l’ex-PPD è diviso, visto che ci sono esponenti influenti sia nell’uno sia nell’altro campo. Bisognerà vedere come saranno lette internamente le forti critiche piovute sul PLR dagli ambienti contrari ai trattati, dopo il voto dei delegati liberali contro la doppia maggioranza. Il vertice del partito sa che il suo elettorato è molto sensibile all’argomento. Certo è che il Centro avrà un ruolo importantissimo al Consiglio degli Stati, dove detiene la maggioranza relativa dei seggi.

Per il resto, l’inaspettata chiara decisione del PLR (75%) a favore dell’accordo ha consolidato il quadro di partenza. Una maggioranza risicata, e soprattutto una spaccatura conclamata, non sarebbero state un buon viatico per un pacchetto che deve ancora compiere parecchia strada prima del giudizio popolare. Resta da vedere se questa posizione che fa bene agli accordi farà altrettanto bene al partito, dove la decisione dell’assemblea dei delegati ha lasciato una minoranza di scontenti, anche per il sorprendente rifiuto di sottoporre il pacchetto a referendum obbligatorio. La domanda è se le scelte assembleari possono rappresentare un punto di svolta in grado di arrestare il declino elettorale o rischiano di trasformarsi in un boomerang per una formazione che alle prossime elezioni si giocherà la conferma del secondo seggio in Governo. In mancanza di riscontri oggettivi, le voci di dimissioni di numerosi membri circolate in questi giorni sono da prendere con estrema cautela. Ma lo stesso vale per il compiacimento con cui gli ambienti eurofili hanno accolto la decisione assembleare. Il cammino è ancora lungo. Toccherà al nuovo vertice gestire la dialettica interna e definire una linea che sia anche pagante elettoralmente. L’UDC, che dal 1992 ha guadagnato consensi a scapito del PLR anche grazie alla questione europea, si aspettava un voto più contrastato, ma ha già trovato negli elettori liberali delusi un potenziale serbatoio da sfruttare per infoltire i suoi ranghi.