L'editoriale

Chiesa: così muore un brutto segreto

La Chiesa svizzera porta a compimento il vero salto di qualità nella lotta alla pedofilia
Carlo Silini
06.04.2022 06:00

Così, finalmente, muore un brutto segreto. Ciò che è stato annunciato lunedì dalla Chiesa cattolica svizzera - e cioè l’avvio di un’inchiesta scientifica indipendente sugli abusi sessuali commessi in contesto ecclesiale - segna una svolta non solo simbolica nella politica seguita fino ad oggi di fronte alla piaga della pedofilia nel clero: la fine del segreto, appunto. Perché di buone intenzioni è lastricato l’inferno, come scriveva Ovidio, ed è relativamente facile per i responsabili della Chiesa chinare il capo e professare una colpa generica, senza volti e senza numeri. Tutt’altra faccenda è aprire i cassetti degli archivi diocesani e affidarne i contenuti a un gruppo di ricercatori neutrali che ne trarranno una stima attendibile dei casi di sopraffazione sessuale consumatisi negli ultimi decenni in ambienti parrocchiali e religiosi e forse mai venuti alla luce.

Non è che fino ad oggi le Diocesi non si fossero mosse per contrastare un fenomeno che è esploso - mediaticamente parlando - all’inizio degli anni Duemila, anzi. Anche da noi sono stati istituiti numeri verdi e consultori a disposizione delle vittime. Ma, vuoi per la vergogna che accompagna chi ha subito abusi, vuoi per la lontananza nel tempo dai fatti avvenuti e la comprensibilissima volontà di dimenticare e di andare avanti, le autosegnalazioni scarseggiano e di sicuro non bastano per tracciare una stima attendibile del fenomeno (e delle colpe e responsabilità che ne conseguono). Con questa mossa, la Chiesa svizzera porta a compimento il vero salto di qualità nella lotta alla pedofilia, già iniziato con Benedetto XVI e radicalizzato da papa Francesco, consistente nel fatto di avere sottratto la spinosa tematica alle discussioni riservate e/o secretate all’interno delle Curie locali o di quella romana. Non sarà un cammino facile. Anche gli studi indipendenti possono prestarsi alle critiche. In Francia l’Académie catholique contesta aspramente i risultati di un’analoga indagine voluta dalla Chiesa d’Oltralpe (la cosiddetta CIASE, Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa cattolica, presieduta dal carismatico Jean-Marc Sauvé), in particolare i numeri del fenomeno, impressionanti. La quota degli abusati è decuplicata rispetto a quella fino ad allora nota: si parla di almeno 216.000 vittime, 330.000 considerando le persone che hanno subito attacchi da membri laici della Chiesa. Tra le altre cose, i critici contestano il metodo per stabilire queste cifre, ad esempio la raccolta (anche) di testimonianze anonime.

Un’obiezione che è giusto valutare. Ma è possibile che dietro le polemiche si stia consumando uno scontro tra forzature interpretative divergenti di chi vuole tutelare a tutti i costi il buon nome della Chiesa minimizzando i reati commessi e chi coglie la palla al balzo per demonizzarla malgrado la sua innegabile volontà di redimersi. Due atteggiamenti specularmente scorretti, perché qui ciò che conta è la verità dei fatti, non la loro lettura ideologica. La giustizia, non l’apologetica o il laicismo estremi. Lo si deve alle vittime.

Il rapporto, che si prevede uscirà fra un paio d’anni, è sì un capitale punto d’arrivo. Ma - cosa assai più importante - un nuovo punto di partenza.

Prima ancora della sua pubblicazione è la mentalità ecclesiale che sta cambiando. Lo si è visto proprio in Francia, dove i vescovi hanno dapprima creato nove gruppi di lavoro per aiutare le vittime e poi hanno istituito un sito Internet per seguire l’applicazione delle misure in favore degli abusati. E da noi, già ieri, il vescovo di Coira Joseph Bonnemain ha spiegato che la sua diocesi adotterà un codice di condotta per prevenire «gli abusi sessuali e spirituali», vincolante per le guide spirituali, gli impiegati e i dirigenti della diocesi e delle Chiese cantonali. Una lotta decisa e sincera che, speriamo, consentirà di superare davvero l’epoca dei segreti e delle impunità.