L'editoriale

Come è dura per chi vive ai bordi di periferia

Al via la stagione dell'hockey: quale ruolo per Ambrì Piotta e Lugano in un panorama sempre più complesso?
Flavio Viglezio
08.09.2025 06:00

Si prendono le solite 14 squadre e si riparte. L’estate – se per alcuni è volata – per altri ha rappresentato una lunga pausa in vista della nuova stagione. Si prendono le solite 14 formazioni – la promozione dalla Swiss League è una sorta di miraggio per chi milita nella cadetteria – e si ricomincia. Non è insomma cambiato molto rispetto a dodici mesi fa.

Anche i campioni svizzeri sono gli stessi: gli ZSC Lions hanno concesso il bis, hanno messo in bacheca anche la Champions League e si ripresentano ai nastri di partenza ancora una volta nelle vesti di favoriti. Non è un caso: gli zurighesi sono la perfetta fotografia di quanto sia fondamentale unire la potenza economica ad una perfetta organizzazione. Basti pensare che il tecnico che ha trionfato sui due fronti, fino a qualche mese prima, allenava i GCK Lions nel deserto della Kebo. Pianificare a medio-lungo termine è diventato imprescindibile, se si vuole avere successo in maniera costante.

Certo, i soldi fanno la felicità, ma solo se gli investimenti seguono una logica ben precisa. A Ginevra, per esempio, dopo la conquista del titolo non si è riusciti a dare la giusta continuità al trionfo. Perché vincere è anche una questione di tradizione, non solo di denaro. Certo è che – proprio come dodici mesi fa – il gap tra i club più abbienti e il resto del gruppo si sta vieppiù allargando. Con la differenza che – rispetto a qualche anno or sono – ad entrare di forza nel panorama delle ricche dell’hockey elveticho sono state le squadre romande. Il già citato Ginevra, il Friburgo e soprattutto il Losanna stanno provando a spostare il baricentro dell’hockey elvetico. Soprattutto per i vodesi i tempi sembrano maturi per raccogliere il frutto del lavoro svolto, favoriti – come in molte altre realtà – dall’entrata in funzione di un nuovo impianto.

Nella lotta tra Svizzera tedesca e Romandia, a rincorrere un treno non facile da acciuffare ci sono – per ragioni diverse – i due club ticinesi. Per certi versi, il Ticino sta vieppiù diventando una sorta di periferia del disco su ghiaccio rossocrociato. L’Ambrì Piotta non partecipa ai playoff da una vita – sei stagioni, per l’esattezza – mentre il Lugano reduce dalla peggior stagione della sua storia si accontenta da anni di un ruolo marginale. Bisogna probabilmente farsene una ragione e puntare su altri valori che non ai risultati in senso stretto.

È insomma tutt’altro che evidente, per i due club ticinesi di punta, recitare un ruolo importante in un panorama chiuso da chi ha maggiori disponibilità e – nonostante le promesse – il concetto di fair-play finanziario e quello di Lega chiusa stanno prendendo polvere nei cassetti della Lega. Non ci si arriverà probabilmente mai, è inutile farsi sterili illusioni. Per biancoblù e bianconeri si tratta quindi – o si tratterebbe – di trovare soluzioni alternative, a partire dallo sviluppo dei propri giovani. A meno che non ci sia la vera volontà di aprirsi a nuovi investitori. mica semplice. Con il trasferimento alla Gottardo Arena l’Ambrì Piotta ha iniziato a sorridere, ma avrebbe bisogno di input supplementari per lasciarsi definitivamente alle spalle gli anni più bui. Intanto sul piano prettamente sportivo si è deciso di puntare sulla continuità e Luca Cereda guiderà la squadra per il nono anno consecutivo. A Lugano si è invece deciso di dare un taglio netto al recente passato. Un nuovo general manager, un nuovo staff tecnico, tanti volti nuovi sul ghiaccio. Il campionato dirà se biancoblù e bianconeri sapranno – oltre ai risultati – ritagliarsi un ruolo importante a livello di credibilità. Anche per chi oggi – come cantava Eros Ramazzotti – vive ai bordi di periferia.

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