Credit Suisse, la UBS, il settore bancario

Tanto tuonò che piovve. C’è voluto parecchio tempo per vedere Credit Suisse completare il cambiamento di quel vertice che ha governato in un periodo di forti perdite - di denari e in alcuni casi anche di reputazione - causate in parte da eredità del passato ma in parte anche da recenti investimenti sbagliati. E per poter riascoltare la volontà del secondo istituto bancario elvetico di ridurre il grado di rischio nelle sue attività e, in questo contesto, di contenere la presenza dell’investment banking, ribadendo la centralità della gestione di patrimoni. Meglio tardi che mai, starà ora al nuovo vertice di Credit Suisse mostrare che le lezioni sono state realmente apprese.
Il tema del contenimento dell’investment banking nelle maggiori banche svizzere non è nuovo. In una parte non secondaria di queste attività il rischio è molto presente, si possono con esse più facilmente registrare sia grandi guadagni sia grandi perdite. L’egemonia in questo ramo è storicamente anglosassone, ma a partire dagli anni Novanta molte grandi banche europee hanno pensato di poter insidiare la leadership anglo-americana e anche le maggiori banche svizzere hanno fatto la loro parte. In realtà, la leadership atlantica è rimasta. Ci sono state molte acquisizioni europee, questo sì, spesso anche costose e il cui esito a distanza di anni appare però in alcuni casi discutibile sul piano dei risultati.
Ciò non significa bocciare tutto l’investment banking, vuol dire valutarlo realisticamente, senza condannarlo e senza esaltarlo. Soprattutto, significa valutare in che misura possa inserirsi nella realtà concreta di un gruppo bancario. Per le banche elvetiche si tratta in particolare di vedere quale investment banking può affiancare le strutture della gestione patrimoniale, nella quale sono leader. L’investment banking deve essere il più possibile sinergico con la gestione patrimoniale. La cultura aziendale di quest’ultima, e non quella dell’investment banking, deve rimanere al centro di larga parte del tessuto bancario svizzero.
UBS si è trovata di fronte allo stesso nodo di Credit Suisse ma, dopo una fase di tentennamenti, è andata avanti con un passo più spedito nella riduzione della dell’investment banking e nella conferma della centralità della gestione di patrimoni. UBS ora è messa nettamente meglio di Credit Suisse, ciò è dovuto a tanti fattori, ma il ritorno nei fatti alla leadership della gestione patrimoniale e l’aver ridotto e ridisegnato l’investment banking sono elementi che hanno contribuito. Credit Suisse al di là delle parole ha nei fatti rallentato in questa operazione e oggi paga anche questo.
Nei primi sei mesi di quest’anno Credit Suisse ha registrato perdite per 1,8 miliardi di franchi. UBS nel semestre ha realizzato utili netti per 4,2 miliardi dollari, in aumento rispetto ad un anno prima. È vero che nel secondo trimestre UBS ha potuto contare su un guadagno non ordinario legato ad una cessione, ma le cifre della prima banca elvetica restano ragguardevoli. Le risposte della Borsa dopo gli annunci dei risultati, con un rialzo per Credit Suisse e una pesante discesa per UBS, hanno avuto il sapore di reazioni tecniche collegate a diverse attese o di nervosismi di giornata. Alle spalle delle due big, parlando di banche elvetiche quotate e legate prevalentemente alla gestione patrimoniale, ricordiamo per il semestre anche l’utile netto di 450 milioni di franchi di Julius Bär, in diminuzione ma sempre di rilievo, i 151 milioni di franchi di Vontobel (stesso discorso), i 115 milioni di franchi di EFG, in aumento. Il contesto internazionale ora è difficile. Credit Suisse soffre e deve cercare il rilancio. Ma una larga parte del sistema bancario svizzero ha già agito con capacità e tenacia.