Da vent'anni una crisi finanziaria tira l'altra
Sembra un film già visto oltre quindici anni fa quando le prime crepe nel sistema finanziario globale – a partire da quello statunitense - incominciarono a manifestarsi quasi in modo impercettibile, almeno per il grande pubblico. I fallimenti bancari che ne seguirono diedero il La a quella che – tra il 2007 e il 2008 - prese il nome di «crisi finanziaria globale». A essa seguì la «Grande Recessione» che si protrasse ben oltre il 2010 e la situazione odierna è per certi versi anche figlia di quella crisi. Ma andiamo con ordine.
Nel giro di una settimana tre banche nordamericane, sconosciute fino a oggi ai non addetti ai lavori, hanno dovuto forzatamente chiudere i battenti provocando l’intervento congiunto del Tesoro USA, degli enti regolatori e anche della Federal Reserve. Si tratta, nell’ordine, di Silvergate Bank, Silicon Valley Bank e della Signature Bank. La prima è affogata per i suoi legami con il mondo delle criptovalute e il crac della piattaforma FTX. Quella del «cripto banchiere» delle Bahamas Sam Bankman-Fried finito prima in prigione e poi estradato negli Stati Uniti, per intenderci. La seconda banca, molto attiva – come evoca lo stesso nome - nel finanziamento di imprese innovative nell’omonimo distretto industriale californiano, è invece sparita in un batter d’occhio venerdì scorso. La causa della morte? Aveva nel suo bilancio una quantità esagerata di Treasury Bond decennali, i titoli del Tesoro statunitensi, venduti sul mercato a scopo di copertura della liquidità. Titoli che non avrebbero avuto alcun impatto sui conti della SVB, se portati a naturale scadenza. Si sono però dimostrati micidiali nell’attuale situazione di aumento dei tassi di interesse da parte della Fed. È noto che quando i rendimenti delle obbligazioni (pubbliche o private) salgono, il loro valore – iscritto a bilancio a prezzi elevati in periodi di tassi nulli - scende anche drasticamente. Le perdite, teoriche fino a quando si sta fermi, si concretizzano quando si vende. Ed è stato proprio il caso della SBV che si è ritrovata una minusvalenza improvvisa di 1,8 miliardi di dollari. Da qui la corsa agli sportelli dei correntisti che ne hanno decretato il fallimento trascinando nel gorgo anche la Signature Bank di New York.
Già domenica sera il Tesoro statunitense, di concerto con la Federal Reserve e la Federal Deposit Insurance Corp., l’assicurazione sui depositi bancari, cosciente che la crisi di fiducia è un virus pericoloso per l’intero sistema finanziario globale, ha garantito ai clienti di SVB e di Signature il 100% dei loro depositi. Una misura antipanico che non ha messo al riparo un quarto istituto: la First Republic Bank che nonostante una linea di credito da 70 miliardi assicurata da Fed e JP Morgan, ha visto crollare il valore delle azioni a Wall Street in una sola seduta di oltre il 70%. Anche in Europa la giornata di ieri è stata campale per le Borse e soprattutto per i titoli bancari di qualunque stazza fossero. I titoli Credit Suisse hanno lasciato sul terreno il 9,58%, mentre quelli di UBS il 7,66%.
Le banche, non solo negli USA, sono piene di obbligazioni (pubbliche e private) il cui valore nominale è sceso drasticamente proprio per compensare l’aumento dei tassi. Se fino a una settimana fa i banchieri centrali dovevano scegliere tra la stabilità dei prezzi e il rallentamento economico, correndo il rischio calcolato di innescare una recessione, ora il crollo di questi istituti suggerirebbe di andarci molto più cauti con l’inasprimento monetario. L’instabilità finanziaria è infatti un fenomeno più pericoloso dell'inflazione. Nei prossimi dieci giorni – a meno di ulteriori sviluppi – si conosceranno le decisioni di BCE, Fed e BNS.
Ed è una storia che si ripete. Nell’ultimo trentennio le banche centrali inseguendo la stabilità dei prezzi, hanno regolarmente alimentato e sgonfiato le bolle finanziarie: dalla new economy, passando dai mutui subprime e arrivando a quella odierna.