L'editoriale

Due anni di guerra senza vedere una fine

Certo, ripensare a quei giorni ha qualcosa di grottesco, un po’ come ripensare alle strade vuote dei primi giorni di pandemia
Paolo Galli
24.02.2024 06:00

Era il 24 febbraio del 2022. Ed è una di quelle date destinate a rimanere indelebili nel tempo, di quelle che dividono il prima dal dopo, il passato da un nuovo presente. In questo caso più drammatico e complesso. Il 24 febbraio del 2022 l’Ucraina si è scoperta, una volta per tutte, teatro di bombe e scontri, di stupri e di diritti violati, e all’improvviso centro del mondo tutto. Fin lì si fingeva, in qualche modo, che il conflitto fosse limitato al Donbass e che, quindi, non ci riguardasse. Della serie, abusata: se la vedano tra loro. Poi non abbiamo più potuto fingere indifferenza. Persino la Svizzera è stata presa per una manica e trascinata in guerra, suo malgrado. Ma una guerra nasce così, malgrado il volere di tutti, ad eccezione di pochi.

Certo, ripensare a quei giorni ha qualcosa di grottesco. Un po’ come ripensare alle strade vuote dei primi giorni di pandemia. I carri armati russi che sfilano puntando Kiev. Vladimir Putin che parla di «operazione militare speciale». Gli ucraini in fuga verso la Polonia, verso chissà dove. Anche verso la Svizzera, senza sapere neppure bene che cosa fosse, chi fossimo. L’Occidente, dalla Polonia via, con le porte aperte e tanta buona volontà: noi ci siamo. Poi qualcuno ha aggiunto una parentesi: (almeno per ora, finché non ci stancheremo di voi, in attesa che rientriate nel vostro Paese, bombe o non bombe).

E poi l’Occidente si è ritrovato costretto ad agire, in qualche modo, anche al di là dell’accoglienza dei profughi, quindi schierandosi. C’è chi ha provato a rimanerne fuori, ma di fatto stando dalla parte dell’aggressore. C’è chi subito ha imposto sanzioni nei suoi confronti, nei confronti della Russia. C’è chi ha dovuto seguire a ruota, tornando a riflettere sui propri principi fondatori. È il nostro caso, naturalmente. La Svizzera, in questi due anni, è sembrata di volta in volta adeguarsi alle situazioni, senza mai muoversi in prima linea, bensì riflettendo sempre sul da farsi, come da sua macerante natura. Spesso scontentando tutti, Paesi, organizzazioni e fazioni politiche. Ma noi siamo anche questo. Non è solo una questione di neutralità rispettata o violata, allora, è una questione ontologica.

Abbiamo anche riscoperto il costo - persino al netto del valore - dell’energia, della spesa, in definitiva del nostro presente e del nostro futuro. La vita costa tot, in guerra costerà qualcosa in più. Ma come potrebbe non essere così, perlomeno sul breve periodo? Come può non toccarci una guerra fuori dalla nostra porta, che bussa, e bussa, e pretende di entrare? C’è chi ambisce a costruire muri più alti, sempre di più, in modo da sentirsi più sicuro. Ma non funziona così. Perlomeno le difficoltà economiche - intendiamoci, relative, per molti di noi -, ci permettono di percepire la realtà di un conflitto, o una delle realtà del conflitto. All’Ucraina, in questo senso - e sarebbe inutile specificarlo -, sta andando peggio. Invasa, attaccata, violentata. Con una parte del mondo che le chiede di arrendersi - in nome di un valore di pace che maschera in realtà la paura di un maggior coinvolgimento diretto -, un’altra che la implora di resistere. Un cuscinetto sanguinante tra un «noi» e un «loro».

Recentemente, l’ufficio per i diritti umani dell’ONU ha confermato la morte di oltre diecimila civili in Ucraina e il ferimento di altre diciannovemila persone da quel 24 febbraio a oggi. Numeri persino bassi, in realtà: il bilancio effettivo è diverso, ha segnalato lo stesso ufficio. Per non parlare dei soldati uccisi, decine e decine di migliaia, da una parte come dall’altra. Perché anche la Russia si è trovata in guerra suo malgrado. Non c’è Putin nel fango, ma i soldati, spesso reclute, anche - come hanno dimostrato molte inchieste - sprovvedute e destinate inevitabilmente al sacrificio. Secondo alti funzionari della Difesa statunitense, sarebbero rimasti uccisi o feriti oltre trecentomila soldati russi. Da quel 24 febbraio del 2022. Il giorno in cui la guerra è iniziata. E ancora, due anni dopo, non sappiamo come farla finire.

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