Economia e politica, due mondi a confronto

Negli ultimi anni in Ticino c’è stato un cambiamento significativo dei rapporti tra politica ed economia. Se in passato la prima era forte, autorevole grazie a personalità di spessore, una realtà che trasversalmente interessava tutte le forze, dal centro, a sinistra, ma pure a destra, oggi le cose sono mutate. In negativo, purtroppo. I tenori sono invecchiati, man mano spariti, mentre altre figure di spicco sono dipartite anzitempo. Il ricambio generazionale c’è stato ma seguendo le quotazioni borsistiche dei tempi grami: al ribasso. C’è poco da girarci attorno, cercando scuse o giustificazioni. Purtroppo, è la realtà dei fatti che sono testardi e non mentono mai. Certamente le generazioni dei politici passate erano maggiormente legate al senso del potere, la politica è da sempre una calamita per chi coltiva queste ambizioni, anche se il più delle volte si trincera dietro un trasparente velo lasciando intendere che la sua missione è «di mettersi a disposizione della cosa pubblica». Per contro il mondo dell’economia non si è mai interessato della politica. O meglio, precisiamo che non ha mai voluto prendersi la scena dei politici, anche se c’erano relazioni e, ovviamente, interessi. Inutile fare le verginelle e ignorare che quanto descritto non sia mai accaduto. L’economia si rivolgeva a chi «mostrava sensibilità», a livello pratico alle forze moderate, quelle del centro, il PLR e l’allora PPD. Il primo, nella sua ala liberale, era una costola economica, con rapporti intensi e rappresentanti fedeli nei posti che contavano. Poi le tensioni tra i liberali e i radicali, dal momento della defenestrazione di Marina Masoni (in votazione popolare, ma sotto una chiara regia), ha modificato in maniera irreversibile la situazione. Nel PLR l’azione dell’imprenditore Rocco Cattaneo non è stata sufficiente per radicare la sua sensibilità, la Lega ha raddoppiato in Governo a spese dei liberali-radicali e c’è stato un momento storico nel quale era stata ventilata in Ticino l’ipotesi di dare vita a un «partito dell’economia». Ma l’idea non è stata supportata dal coraggio di una classe politico-economica che aveva imboccato la strada del declino. Il PLR è rimasto alle Finanze, Christian Vitta ha fatto propria una marcata sensibilità per il tessuto economico, ma poi si è entrati nella stagione della stanchezza, della disillusione, dei repentini cambiamenti d’ordine sociale ed economico che hanno fatto ingrigire rapidamente i capelli e scavato profonde rughe nel sistema dei meccanismi rodati ma non più al passo con i tempi. Lo scarseggiare delle risorse, la crescita delle ostilità nei confronti di chi contribuiva a generare lavoro, benessere e ricchezza, unitamente agli scivoloni di qualche pecora nera che hanno allungato ombre sul tessuto economico in generale e modificato lo stato delle cose, ha poi fatto il resto. È così iniziata la stagione dell’economia senza più peli sulla lingua, con alcuni imprenditori a farsi coraggio per lanciare critiche, proposte, prendere posizione e schierarsi. Ma nessuno (purtroppo) disposto a scendere in campo nell’arena della politica. L’era contemporanea ci mostra un’economia presente nel dibattito pubblico e loquace in merito alle decisioni strategiche. L’esempio calzante lo abbiamo avuto sotto gli occhi negli ultimi anni con l’azione di coppia e a tenaglia delle due principali associazioni economiche, la Camera di commercio guidata da Andrea Gehri e l’AITI con Oliviero Pesenti. Le finanze, il debito pubblico e lo Stato in genere: entrambi sono stati presenti e sostanzialmente allineati, facendo fronte unico come mai si era visto in passato. Si sono spinti laddove gli attori dell’economia mai avevano osato, per partecipare alla cordata di un’iniziativa popolare (venduta come interpartitica, ma di fatto nata dall’impronta dell’UDC e della Lega del Mattino) per ridurre drasticamente, con formule matematiche, il numero dei dipendenti pubblici. Solo fino a pochi anni fa questo sarebbe stato letteralmente inimmaginabile, fantapolitica o forse anche fantaeconomia. Dobbiamo dedurre che l’economia ha trovato una nuova casa politica? L’interrogativo è legittimo, una risposta probabilmente prematura. Vien pure da chiedersi se tutto questo è positivo o negativo. Facendo astrazione dallo schieramento scelto puntualmente, in attesa delle prossime mosse «economico-politiche», ben venga che attori chiamati a contribuire al benessere e a fare girare il nostro sistema-Paese scendano in campo. Alla politica non farebbe di certo male una ventata d’imprenditoria (di quella sana), per fare passare il messaggio alla sempre più dilagante «politica-amministrativa» che non c’è più tempo da perdere. Che «finanze sane» non è un gioco, non è uno sfizio, ma sempre più una necessità. Poi, per carità, continuare a sognare un Ticino migliore e più solido senza muovere un dito è lecito. Ma colpevolmente irresponsabile.