L'editoriale

Esistono anche i cigni bianchi

Confronto, diplomazia e persino empatia personale: il faccia a faccia fra Joe Biden e Xi Jinping ha portato risultati non disprezzabili
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
17.11.2023 06:00

Dopo aver sopportato l’avvento di tanti «cigni neri» - ovvero eventi improvvisi come la pandemia e le due guerre in corso - ci eravamo ormai rassegnati alla scomparsa di ogni virtù del dialogo. Solo prove di forza. Il relativo successo dell’incontro a San Francisco tra il presidente americano e quello cinese ci conforta. Esistono anche i cigni bianchi del confronto, della diplomazia e persino dell’empatia personale. Quella che per esempio favorì la fine della Guerra Fredda nei vertici tra Ronald Reagan e Michail Gorbaciov. La cronaca del faccia a faccia tra Joe Biden e Xi Jinping, durato più di quattro ore, è ricca di particolari di questo tipo, solo apparentemente irrilevanti. Per esempio, Biden che fa gli auguri di buon compleanno alla moglie di Xi e quest’ultimo lo ringrazia ammettendo che, causa un’agenda troppo fitta, se lo stava dimenticando. Il giovane Xi da studente era stato poi in California e anche questa atmosfera di familiarità deve aver contribuito a raffreddare gli animi. E forse anche a sminuire la portata della gaffe della successiva conferenza stampa del presidente statunitense che ha paragonato il suo omologo a un dittatore.

Nessuno, appena un anno fa, al tempo dell’abbattimento del satellite spia cinese nei cieli americani o di fronte alle manovre militari cinesi nelle acque di Taiwan, avrebbe scommesso alcunché sulla ripresa del dialogo fra le due super potenze. Eppure è avvenuto e con risultati non disprezzabili, a cominciare proprio dal ripristino delle comunicazioni militari e dall’impegno cinese alla lotta al contrabbando di Fentanyl, la droga sintetica cui si devono i due terzi dei morti per overdose negli Stati Uniti. Xi ha detto che il mondo è grande e c’è spazio per due superpotenze. L’America, lo ha ribadito il ministro dell’Economia Yanet Yellen, non crede sia possibile un decoupling, disaccoppiamento tra i due sistemi economici, ormai interdipendenti. Meglio parlare di derisking. L’interscambio vale 700 miliardi di dollari, nonostante limitazioni, dazi, ritorsioni. E non è privo di significato il fatto che Xi abbia accettato di partecipare a una costosissima cena (da 40 mila dollari a tavolo) con i più grandi imprenditori e manager americani.

Un dato fra tutti può spiegare il mutato atteggiamento di Pechino. Per la prima volta da quando la Cina è entrata nel 2001 nell’organizzazione del commercio estero (WTO), il saldo trimestrale degli investimenti diretti dall’estero è negativo. Conseguenza dell’accorciamento delle filiere produttive, delle scelte di reshoring, peraltro abbondantemente finanziate dall’Inflation reduction act dell’amministrazione Biden. La Cina se vuole mantenere un ritmo di crescita soddisfacente ha bisogno, specie in un momento di deboli consumi interni, dell’export e degli investimenti esteri. Taiwan è il punto dolente, ma la tensione che vi fu all’epoca della contestata visita di Nancy Pelosi sembra essersi attenuata. Xi è per una pacifica riunificazione. Biden per lo status quo. Il mondo ha talmente tante crisi aperte, dall’Ucraina alla striscia di Gaza, che non si può permettere un confronto militare tra le due superpotenze. Si è parlato poco di intelligenza artificiale. E l’impegno a un incremento degli investimenti nelle fonti rinnovabili è rimasto oscurato dal silenzio sull’uso, smodato, del carbone. Nel frattempo, tre panda dello zoo di Washington sono tornati in patria grazie alla collaborazione scientifica tra i due Paesi. Dopo tante cure e collaborazione, la specie è salva. I primi panda furono donati nel 1972. Erano il simbolo della distensione. Speriamo lo siano ancora.

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