Editoriale

Extraprofitti e rendite vanificano il merito

La proposta del governo italiano di tassare i cosiddetti extraprofitti delle banche generati da margini d'interesse fuori scala accende inconsapevolmente i riflettori sulle regole di mercato
Generoso Chiaradonna
11.08.2023 06:00

Prima la pandemia con il fermo quasi totale delle attività economiche cosiddette non essenziali, poi le riaperture a singhiozzo e i successivi colli di bottiglia formatisi nella catena di creazione del valore globale a cui si è aggiunta la dolorosa guerra in Ucraina, con il corollario del repentino aumento dei prezzi delle materie prime. E infine la stretta monetaria delle banche centrali che hanno rialzato i tassi d’interesse per cercare di moderare le spinte inflazionistiche. Spinte, è bene ricordarlo, generate anche da questi eventi. 

Cosa hanno in comune tali fatti? Hanno generato situazioni tali per cui alcuni settori, più di altri, hanno beneficiato di condizioni di mercato eccezionalmente positive. In poche parole, le imprese attive nella logistica, nell’ambito farmaceutico, nell’estrazione e raffinazione del petrolio, nel mortifero business delle armi, nell’intermediazione finanziaria (le banche) hanno conseguito poderosi extraprofitti, ovvero superiori ai profitti che si sarebbero ottenuti in condizioni di mercato «normali». Utili generati soprattutto da prezzi crescenti all’offerta. Generalmente gli imprenditori non distinguono tra profitti ed extraprofitti considerando tutti i guadagni, in qualunque forma conseguiti, la giusta remunerazione del capitale e delle competenze da lui investiti per il successo dell’impresa. Ragionamento apparentemente lapalissiano e condivisibile a una prima lettura. Eppure, non è così. 

L’extraprofitto deriva da particolari situazioni di mercato più che da meriti o particolare lungimiranza imprenditoriale e può addirittura considerarsi una sorta di quasi-rendita che generalmente è vista come fumo negli occhi da chi ha una visione liberale dell’economia. Normalmente nelle forme di mercato molto deregolamentate, dove non esistono grandi barriere all’entrata, è proprio la possibilità di generare extraprofitto ad attirare nuovi attori economici desiderosi di accaparrarsi una parte di questi utili. Ed è proprio attraverso l’espansione delle quantità di beni e servizi in questi settori ad attenuare i prezzi degli stessi e la conseguente progressiva riduzione degli extraprofitti fino alla realizzazione dei soli normali profitti di lungo periodo, come insegna la teoria economica. È chiaro che non sempre è possibile aumentare l’offerta. Pensiamo a quante norme e a quale regime autorizzativo sottostà, per esempio, il settore farmaceutico o quello bancario per non parlare di quello energetico. Insomma, quando è possibile dovrebbe essere la concorrenza economica unita alla libera iniziativa d’impresa a moderare gli eccessi e riportare il tutto nell’alveo del giusto profitto premiando le imprese innovative e punendo quelle obsolete. È quello che sta succedendo, tra le altre cose, nell’attuale processo di digitalizzazione dell’economia che a sua volta ha già posato le basi per la nascita di altri colossi oligopolistici se non di quasi-monopolistici come il cosiddetto GAFAM (dalle iniziali di Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft). Ma questo è un altro discorso.  

Uno dei possibili mezzi per correggere queste storture di mercato è la leva fiscale. All’inizio di questa settimana il governo italiano guidato da Giorgia Meloni ha sorpreso il mondo economico e non solo emanando un decreto con il quale – tra le altre cose – intende tassare con un’imposta una tantum gli extraprofitti conseguiti dalle banche negli ultimi due anni. Tecnicamente è un modo per limitare il cosiddetto margine di intermediazione, ovvero la differenza tra interessi attivi percepiti sui prestiti erogati e quelli passivi pagati sui depositi della clientela, alimentato dalla stretta della BCE (Banca Centrale Europea). È solo questa parte di utile che verrebbe «extra tassato» e solo se dovesse superare una determinata soglia. Per evitarla, le banche dovrebbero trasmettere gli aumenti dei tassi anche ai depositi della clientela e non solo ai mutui. Cosa che non è sempre avvenuta o non nella misura auspicata nemmeno in Svizzera. La norma, vista l’iniziale brusca reazione dei mercati finanziari e degli importanti interessi in gioco - oltre al pasticcio comunicativo, con correzioni dell’ultima ora - avrà probabilmente vita breve in Parlamento. Come l’analoga misura fiscale varata un anno prima per i profitti delle aziende petrolifere, voluta dal predecessore di Giorgia Meloni, Mario Draghi che non può certamente essere tacciato di avere simpatie politiche populiste, questa «extra tassa» genererà più polemiche agostane che extragettito fiscale.