F-35, presto bisognerà arrivarne a una

Dietro la decisione del Consiglio federale su come evitare il sorpasso di spesa degli F-35 ci sono alcune certezze e tante incognite. Le certezze sono almeno tre. La prima è che saranno acquistati meno aerei dei 36 previsti. Quanti di preciso ancora non si sa. Dipenderà dal rincaro e dall’evoluzione dei prezzi delle materie prime. Il Governo vuole attenersi al limite di credito approvato dal popolo nel 2020. In questo modo fa prevalere le esigenze di politica finanziaria sul programma di difesa. Il capo del dipartimento Martin Pfister avrebbe voluto un credito aggiuntivo per completare l’ordine, ma la sua richiesta è stata respinta dai colleghi. Si può anche immaginare che dopo un voto popolare estremamente risicato (50,1%) e il «malinteso» del prezzo fisso - che ha riacceso polemiche mai sopite sul nuovo aereo - una spesa maggiorata sarebbe stata oltremodo difficile da sostenere pubblicamente. La seconda certezza è una conferma: la rinuncia all’F-35 non è un’opzione. Pertanto cade definitivamente lo scenario, caldeggiato da alcune cerchie ostili al jet americano, di rifare tutto daccapo e di prolungare (per la seconda volta) il ciclo di vita dei vecchi F/A-18. La terza è che il Governo non intende risparmiare sugli affari di compensazione, anche se l’assemblaggio in Svizzera di quattro velivoli comporta un aumento della spesa complessiva di circa 200 milioni di franchi. La possibilità di sviluppare il know-how di un aereo da combattimento di quinta generazione e il rafforzamento dell’indipendenza della manutenzione restano una priorità. Ma al tempo stesso restano molte incognite su come il Consiglio federale intenda proseguire con il potenziamento della difesa aerea. In passato si era detto che già 36 aerei costituivano una soglia minima. Non si trattava di un numero a caso ma che rispondeva a precise esigenze di funzionamento della flotta, fra impiego nei cieli, manutenzione, riserva strategica e necessità di sostituzione in caso di gravi guasti. Se ora, per ragioni finanziarie, se ne vogliono acquistare solo una trentina, significa che si dovrà operare al limite inferiore delle capacità. Si sostiene che una difesa aerea ottimale richiederebbe dai 55 ai 70 velivoli, ma la valutazione di questo scenario rischia di restare un esercizio puramente accademico. Questo, nonostante si dica apertamente che con la prevista dotazione di F-35, missili Patriot e missili a media gittata si possa proteggere il Paese dalle minacce aeree «in misura limitata»; e al tempo stesso si evochino concetti come «mutata situazione in materia di politica di sicurezza» e «deterioramento della situazione geopolitica». Non solo: nella nuova Strategia in materia di politica di sicurezza, presentata ieri, si parla della «Russia come minaccia per la sicurezza dell’Europa», mentre fra gli obiettivi si legge che la Svizzera «deve essere in grado di difendersi al meglio da un attacco armato in autonomia». C’è un evidente contrasto fra analisi e scelte concrete. Invece di decidere veramente si continua a tergiversare. Il Governo procede con i piedi di piombo per i contrasti al suo interno su come impiegare le risorse destinate alla sicurezza e perché non sa come reperirne di nuove. Avversato da più parti, il programma di risparmi rischia di fallire. Un aumento dell’IVA solo per la Difesa è sul tavolo, ma è destinato a incontrare resistenze (ne è già stato proposto uno per l’AVS). Trovare un compromesso fra esigenze di bilancio e nuove necessità militari è un compito improbo, anche se in teoria il budget dell’esercito dovrebbe passare dagli attuali 6,3 miliardi di franchi a 10 miliardi entro il 2032. L’incremento è un mero obiettivo politico senza una reale garanzia di attuazione, perché nel conto vanno messi anche l’aumento delle altre spese e i severi limiti imposti dal freno all’indebitamento. Pfister dovrà fare i compiti entro fine gennaio, presentando «i parametri di riferimento per un ulteriore modo di procedere» e indicando le priorità per il prossimo biennio. In teoria, i sei aerei rimanenti potrebbero essere finanziati con costose rinunce in altri ambiti militari, dove però ci sono grosse esigenze di recupero. Il mandato affidato al «ministro» della Difesa potrebbe avere un senso se fosse davvero il preludio di una svolta. Ma l’impressione è che sia solo l’ennesimo rimpallo interno, per cui si continuano ad avanzare richieste di approfondimenti senza mai decidere. Quando invece, dopo quasi quattro anni di proclami, pur con tutte le difficoltà del caso, sarebbe ora di arrivarne a una.

