FC Lugano, non è più solo un'audace utopia
Esattamente un anno fa, ai confini del mondo, il Lugano era costretto a riconoscere i propri limiti. Ridimensionato, sì, sul palcoscenico europeo. La resa era arrivata per mano del Bodø/Glimt, da anni solida e matura realtà in ambito internazionale. E a ripensare a quella partita, un 5-2 eloquente, ci viene da sorridere. Perché gli uomini di Mattia Croci-Torti si erano recati in Norvegia convinti di potercela ancora fare, convinti di essere già all’altezza di una primavera continentale. Narrazione e buone intenzioni si erano però scontrate con lo spessore degli avversari e le fragilità di un progetto sportivo acerbo nelle sue genuine ambizioni.
Sono trascorsi dodici mesi. Solo dodici mesi. E il club – inteso in tutte le sue componenti – ha trasformato una bozza audace in una pagina di storia. I sedicesimi di finale di Conference League conquistati addirittura con due turni d’anticipo costituiscono un traguardo prestigioso. Ma soprattutto l’ennesimo tassello di un puzzle a cui – in anticipo su pianificazione e desideri – mancano sempre meno pezzi per essere completato.
Oggi il Lugano si trova nella significativa condizione di non dover rinunciare ad alcunché. Anzi, con il passaggio del turno già assicurato e dei clamorosi ottavi da inseguire senza pressione, Steffen e compagni si apprestano ad affrontare con rinnovato slancio e una consapevolezza grande così il momento forse più intenso della stagione. La squadra è in corsa su tre fronti. E senza particolari dubbi.
Alle promesse estive, quelle che i tifosi amano sentirsi dire e i media annotano con malizia sui propri taccuini, attendendole poi al varco, hanno fatto seguito strategie ponderate, un rendimento costante e – va da sé – i risultati. Fatti, dunque, capaci di convivere con le pericolose turbolenze figlie delle aspettative. Non solo. Il Lugano, ed è la dinamica forse più meritevole di sottolineatura, ha dimostrato di saper fare tesoro di ogni lezione. Piccola o importante che fosse. In campo e fuori. E il successo appena ottenuto ai danni del Gent, in questo senso, ha rappresentato un prezioso capolavoro.
Ora serve il passo successivo. Che, si badi bene, non obbliga i bianconeri a spingersi fino ai quarti di finale di Conference League, in finale di Coppa e sul tetto del massimo campionato svizzero. No. Ma deve creare i presupposti affinché tutto ciò possa avvenire. Tutto. L’occasione d’altronde è troppa ghiotta e – per altro – risponde pienamente a quanto dichiarato dal Crus in tempi non sospetti. Già, perché lo Young Boys continua a zoppicare e perché la rosa a disposizione del tecnico momò sta fornendo le necessarie garanzie per non abdicare anzitempo. Al titolo nazionale in primis.
Trofei e menzioni, tuttavia, non vengono distribuiti nel calendario dell’avvento. Perciò il Lugano sarà chiamato a rispondere colpo su colpo. Colpi di mercato, anche, ovvio. Non vediamo infatti come l’euforia del Basilea possa scemare durante la finestra invernale dedicata ai trasferimenti. O come le bizze dello Zurigo e gli umori del Servette – che alle fatiche europee non hanno dovuto e non presteranno attenzione – si tradurranno in rinuncia. Anche il Blick, oramai, non può più fare finta di niente. Ai bianconeri – poco importa se con un pizzico di malignità - è stata attribuita la probabilità più elevata di diventare campioni svizzeri: il 40%, contro il 35% dei renani o il 15% dei ginevrini. Fermarsi non è ammesso. Fermarsi sarebbe imperdonabile. La progressione dei bianconeri, detto altrimenti, conoscerà inevitabili battute d’arresto, ma il suo incedere e la sua potenziale gittata andranno rafforzati con convinzione. E con la razionalità che contraddistingue l’attuale classe dirigente, d’accordo.
La settimana europea ci ha dunque restituito una visione autentica. Che nasce da un regista americano e si sprigiona in un condottiero insaziabile. Una visione che ha spostato i limiti del club – inteso in tutte le sue componenti – verso una dimensione che solo un anno fa assomigliava più a un’utopia.