L'editoriale

Fiducia nei giovani in un mondo che cambia

La decisione del Consiglio di Stato di non mettere in discussione il divieto di accesso nei locali notturni per i sedicenni è una cartina di tornasole che ci spinge a fare alcune riflessioni più generali sul ruolo dell’educazione, della famiglia e della scuola nella nostra società ticinese
Paride Pelli
Paride Pelli
02.03.2023 06:00

La decisione del Consiglio di Stato di non mettere in discussione il divieto di accesso nei locali notturni per i sedicenni è una cartina di tornasole che ci spinge a fare alcune riflessioni più generali sul ruolo dell’educazione, della famiglia e della scuola nella nostra società ticinese. Perché, infatti, l’ingresso alle discoteche dovrebbe essere vietato ai sedicenni, fermo restando il sacrosanto divieto di consumare alcolici fino al compimento della maggiore età? Cosa accade in questi locali che un sedicenne con la testa sulle spalle non possa gestire senza pericoli? Il Governo, tre giorni fa, ha deciso di stralciare il punto relativo alla questione dalla modifica della Legge sugli esercizi alberghieri e sulla ristorazione a causa di «numerose criticità emerse in occasione della procedura di consultazione». Tra queste ultime, è stata sottolineata da più associazioni «la possibilità per i sedicenni di trovarsi confrontati con un accesso facilitato alle sostanze alcoliche che andrebbe ad aggravare il fenomeno del consumo eccessivo». L’osservazione è fondata, soprattutto tenendo conto che per gli esercenti, pur con tutta la buona volontà che ci avrebbero potuto mettere, sarebbe stato difficile se non impossibile controllare ogni sorso di bevanda alcolica versato e bevuto nel loro locale. E in caso di disattenzione in buona fede, l’ammenda sarebbe stata comunque pesante. La complicata limitazione del consumo di alcol da parte dei più giovani è stata al centro della discussione che ha spinto il Governo a imboccare una strada meno impervia e a stralciare la proposta di revisione della Legge. Gran parte delle associazioni consultate ponevano il tema come cruciale. Tuttavia, desta qualche perplessità il presupposto che i settemila minori che avrebbero potuto beneficiare dell’allentamento sull’età di accesso alle discoteche siano tutti dei Dottor Jekill e Mister Hyde pronti a farsi travolgere dallo sballo, quasi non aspettassero l’occasione. Se davvero così fosse, vorrebbe dire che la nostra società ticinese sarebbe più fragile di quanto non sembri e che le famiglie – così come la scuola - non siano esattamente in regola con i propri doveri educativi. 

È vero, i recenti fatti di cronaca accaduti nel periodo del carnevale (un alterco con accoltellamento su un treno che rientrava all’alba dal Rabadan di Bellinzona, il grave infortunio a Tesserete) mostrano che il divertimento può portare con sé degli imprevisti e delle derive che è doveroso monitorare e, fin dove possibile, prevenire. Non dimentichiamo, però, che riguardo all’ultimo carnevale un po’ tutti gli organizzatori hanno parlato di una popolazione, minori compresi, che aveva proprio voglia di tornare a divertirsi in modo sano, con allegria e spensieratezza, e che gli inevitabili diverbi di poco conto sono stati subito sedati e non hanno inciso sulla festa di tutti. Allo stesso modo, tornando alle discoteche, il Dipartimento delle istituzioni rilevava a inizio febbraio che i mutamenti sociali hanno trasformato il concetto di discoteca, rendendola negli anni un locale dove vengono proposti anche concerti e dove si esibiscono professionisti dello spettacolo. La società insomma cambia, anche per i nostri minori, e non è una pessima idea offrire loro spazi controllati (e di certo non autogestiti), con regole precise, dove ascoltare musica, stare in compagnia e, soprattutto, crescere in compagnia. Pensare a simili opportunità è un bel gesto di fiducia in loro e non da meno nella nostra capacità di educarli alla responsabilità.

  In altre parole, non vorremmo che ogni volta che in futuro si presenterà un cambiamento sociale, ed è inevitabile che si presenti, la via per gestirlo fosse quella di sottolineare soltanto paure e preoccupazioni, e di alzare un divieto. La fiducia ai giovani, anche minorenni, va accordata: a patto – ça va sans dire - che venga ripagata.