L'editoriale

Finalmente è finito ciò che mai è iniziato

La cosiddetta campagna è ormai alle spalle ed è tempo di guardare a domenica a partire dalla partecipazione, mettendo poi a fuoco altri elementi della politica cantonticinese
Gianni Righinetti
31.03.2023 06:00

Il week end elettorale è ormai alle porte e finalmente domenica da mezzogiorno inizieranno ad arrivare le prime indicazioni sulle scelte dei cittadini elettori. I nomi dei prescelti e la forza dei partiti, quella miscela fatta di persone e fronti politici sui quali ricadrà la fiducia di noi cittadini per i prossimi quattro anni. Ma la prima informazione che riceveremo dalla macchina statale dello spoglio è il dato sulla partecipazione: in sostanza su quanti credono ancora che sia utile esprimere il proprio voto. La democrazia è valida a prescindere dalla quantità di coloro che votano non essendoci nel nostro ordinamento alcun quorum, ma è evidente che una corsa ridotta lascerebbe l’amaro in bocca. Negli ultimi vent’anni le elezioni cantonali hanno fatto registrare risultati altalenanti tra una forchetta compresa tra il 62% e il 59%, dato, quest’ultimo, riferito al 2019. Nessuno sogna più risultati come quelli del 1995 con il 72% degli iscritti in catalogo che correvano letteralmente e fisicamente al seggio per comporre la scheda nel camerino dietro la tendina prima di inserirla nell’urna. Men che meno il dato del 1963 (ormai preistoria politica), quando si sfiorò il 72%. I dati provvisori del rientro delle buste concepite per esercitare il voto per corrispondenza a metà settimana raggiungevano a malapena il 25%. Se è vero che molti portano le schede compilate e inserite nella busta grigia solo all’ultimo minuto (per abitudine o preventiva malfidenza?), il timore è che ci troveremo di fronte a una partecipazione ulteriormente al ribasso. I fattori che portano a questo calo non sono solo squisitamente politici, c’è una forte componente della società che cambia e la disaffezione per la cosa pubblica da parte delle giovani generazioni, ma anche di quelle di mezzo, un po’ prese da altri interessi, un po’ disilluse da una politica che non prende, non convince e non realizza, trovandosi sempre nelle sabbie mobili degli stessi problemi che finiscono per inghiottire tutto e tutti: da destra a sinistra, passando per il centro. Si tratta di una triste quanto irreversibile condizione che mostra ancora un piccolo riscatto in almeno due variabili. La sempre più gettonata scheda senza intestazione, sulla quale viene impressa la crocetta di coloro che di votare i partiti proprio non ne vogliono sentire parlare, ma prediligono il voto alle persone (che in parte limitata ricade sul partito di riferimento). Poi ci sono le piccole liste riconducibili ai cosiddetti partitini, il più delle volte valvola di sfogo per cittadini scontenti o gli eterni insoddisfatti. Attorno a queste presenze, non tanto in quanto liste alternative, quanto alla talvolta insignificante quantità di deputati che si trovano eletti in Parlamento e che finiscono per agire come schegge pronte a pungere con un’azione dalla forma colorita, ma dalla sostanza inconsistente. Ben venga la libera scelta per l’elettore, ma altrettanto benvenute sarebbero delle regole stringenti per l’accesso all’aula parlamentare. E non si parli di verve antidemocratica, perché l’esperienza ci ha detto che questi partitini non hanno contribuito a rendere più democratico il Parlamento, dove esiste una discrepanza tra le regole di funzionamento e questa presenza frenante. Il dibattito è lanciato, ma l’avanzata dei partitini, anche a causa degli atteggiamenti dei partiti maggiori, oggi sarà difficile da contenere. Ben venga allora anche una seria e compiuta riforma del sistema, con l’introduzione del maggioritario.

Siamo alla fine di una campagna inconsistente a livello di dibattito vero e di confronto autentico. Molti si difendono dietro a quello che appare come un paravento fragile, asserendo che «mancano i temi». Questo leitmotiv ha fatto da sfondo all’autodifesa di una classe politica alla quale, nella realtà non fanno difetto le questioni su cui dibattere, ma le idee da esprimere. E questa, giunti ormai all’ora delle scelte che contano, è la constatazione più amara e più triste per la politica cantonticinese che non ha saputo riscattarsi e dare tangibili segnali di dinamismo e di vivacità. Non si tratta tanto di puntare l’indice per trovare un responsabile a destra, a sinistra o magari al centro, ma anche di fare un po’ di sana autocritica, tutti compresi e nessuno escluso, prendendo anche noi media la nostra razione di responsabilità per non essere stati in grado di lanciare sufficienti spunti o toccare le giuste corde per fare decollare la campagna. Tra qualche giorno scorreranno i titoli di coda e potremo dire che, finalmente è finito ciò che non è mai iniziato. Sperando che le elezioni federali prima e quelle comunali poi, riservino davvero qualcosa di diverso. Una vera partita e non solo un piazzamento scontato per la sostituzione in Governo a sinistra, un duello interno all’area di destra e due forze del centro intente a mettersi in mostra compiacendosi del proprio modo di essere e di porsi.

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