L'editoriale

Hospita-Lega e le parole che iniziano a pesare

Quello che è certo è che alla Lega andava meglio un Petrini silente, piuttosto di quello che ora ha deciso di esprimersi
Gianni Righinetti
02.12.2025 06:00

La verità, in senso compiuto, sugli addentellati politici del caso Hospita-Lega, non la conosciamo ancora. Ma un tassello si è aggiunto ieri con l’inedita e attesa lettura della vicenda, una verità in senso soggettivo, fornita dall’avvocato Enea Petrini, che ha affidato al Corriere del Ticino le sue risposte alle puntuali domande che gli abbiamo rivolto. Petrini, che abbiamo incontrato di persona, non si è sottratto ad alcun interrogativo che gli è stato posto e ha detto la sua con serenità, quasi come se, dopo un prolungato silenzio, mentre il suo nome e la sua funzione, professionale, nella Lega e nel CdA di BancaStato venivano discussi un po’ da tutti, fosse un atto liberatorio. Una vicenda ricostruita fino ad oggi alla luce di documenti oggettivi quali verbali d’interrogatorio e messaggi WhatsApp: sappiamo molto, ma non ancora tutto. La verità vera, appunto. In tono compassato, senza mai sfociare nel trasporto emotivo è stato così aggiunto un nuovo elemento in una vicenda complessa e complicata che passerà al vaglio dei tribunali, ma che in questa fase fa rumore soprattutto per gli addentellati politici. Quello dei toni che si alzano, tipico della politica. Il suo tono non è stato da politico, anche se al gioco della politica Petrini si è prestato. Il famoso rapporto commissionato, suggerito o informalmente richiesto (le sfumature possibili sono molte), mediaticamente definito «segreto» (semplicemente perché a lungo ne è stata negata l’esistenza), Petrini lo descrive a mo’ di sentenza «né segreto, né di parte». Prende poi le distanze dai coniugi Alberti «mai un pranzo, una cena, un aperitivo, una frequentazione», si scaglia in seguito contro chi starebbe orchestrando una «campagna diffamatoria» nei suoi confronti, invoca la buona fede, ma senza mai considerare un errore aver fatto quel sopralluogo nella sede di Bioggio di Hospita. Mentre usa toni morbidi e rispettosi per la Lega e i suoi vertici: non ha emesso alcuna parcella per il suo lavoro, considerandolo «un gesto di riconoscenza verso il movimento della Lega al quale sono affezionato» ha detto. La Lega va, torna, ma fondamentalmente rimane al centro del caso politico. È questo, senza se e senza ma, anche se taluni lanciano fumogeni per sviare l’attenzione, il nodo della vicenda che tanto scalda la politica. E non è sfuggito che, nelle parole del vertice quello che era un movimento e poi oggettivamente un partito in tutto e per tutto, oggi viene citato come «associazione».

La fantasia non ha limiti quando si è professionisti dediti all’insabbiamento delle magagne interne. Poi c’è il rapporto di Petrini considerato dai leghisti che contano solo una bozza, discussa sì, ma sempre solo bozza. Come dire che impegna chi lo ha redatto quel rapporto, ma non è fatto proprio da chi ne era stato l’ispiratore. E questo punto, in vista dell’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta (CPI) è basilare. Molto meglio è se su questo gioco semantico (ma sono parole che pesano) possa indagare un organismo indipendente, non una CPI di estrazione ed ispirazione politica e parlamentare. È inutile girarci attorno, c’è un momento preciso in cui il caso Hospita smette di essere «solo» una brutta storia di gestione privata «allegra» (ma finanche penale) e diventa un problema politico di prima grandezza: ed è quando un partito di Governo decide di farsi la propria inchiesta privata su una società vicina, servendosi di un suo ex deputato che siede anche nel CdA di BancaStato e ha dimestichezza con la lettura di un bilancio societario. Possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma quel rapporto non doveva esistere, non andava pensato, assegnato e Petrini lo avrebbe dovuto rifiutare. Punto. Non tanto in virtù del suo impegno in un CdA di un’azienda del parastato legata a nomine di estrazione «tecnico-politica» (con la seconda variabile mai subordinata alla prima), ma in quanto legale di lunga esperienza. Lungi da noi scagliarci contro l’avvocato che ha avuto la freddezza di uscire allo scoperto e che ora attende con impazienza la CPI. Ma nessuno si potrà chiamare fuori, e le risposte che verranno date in quella sede peseranno. Eccome se peseranno. Non si potrà giocare a nascondino come fatto con codardia infantile e motivazioni puerili nei confronti della speciale sottocommissione. I controllori ombra di estrazione politica su un caso politico dovranno uscire allo scoperto. E per dare credibilità a questa operazione non ci vorranno parlamentari travestiti da Sherlock Holmes, ma chi il lavoro di magistrato inquirente lo conosce sul serio. Quello che è certo è che alla Lega andava meglio un Petrini silente, piuttosto di quello che ora ha deciso di esprimersi. Più parole e più voci, significano più chiarezza. Maggiore possibilità di confronto per mettere in luce le contraddizioni e l’incoerenza dei personaggi di questa vicenda. Che, ne siamo praticamente certi, non è finita qui.

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