L'editoriale

I populismi speculari tra soldoni e soluzioni

Senza se e senza ma hanno vinto il PS e la Lega - Ma a giorni arriverà il Preventivo 2026 che, in soldoni, ci mostrerà una volta ancora la realtà di un cantone che vive al di sopra delle sue capacità
Gianni Righinetti
29.09.2025 06:00

Senza se e senza ma hanno vinto il PS e la Lega. Le due proposte sul tavolo hanno fatto presa sulla pancia e sul borsellino dei ticinesi, massacrati dal «caro premio» di cassa malati: l’evidenza razionale che siano lo specchio fedele dei costi è una realtà che imbarazza e viene scientemente sottaciuta da chi batte la grancassa dell’indignazione. La sinistra ha trovato così terreno fertile vincendo alla grande una battaglia sociale che verrà ora cavalcata per lanciare la madre di tutte le battaglie: il premio in base al reddito. La particolarità della domenica di voto alle spalle è che nello stesso tempo si è imposta anche la destra con il principio della deducibilità integrale del premio dalle imposte. I due populismi speculari hanno convinto un elettorato ben più vasto rispetto alle potenzialità delle forze trainanti, seppur sostenute dall’area di riferimento. Segno che a non seguire l’intento della ragione propugnato in primis dal Governo e dai partiti di centro sono stati anche molti fedeli elettori di quelle forze politiche. In sintesi, PLR e Centro si sono trovati, per colpa loro, in balia degli eventi e degli umori altrui, incapaci, a causa di tensioni tra i rispettivi gruppi parlamentari, di individuare e forgiare una propria rotta, finendo travolti dall’abile mossa messa in atto da quelli che sono avversari politici di tutti e tra loro.

E il paradosso sta anche in questa situazione: forze centriste che nell’era moderna dovrebbero avere più analogie che differenze, si trovano nel ruolo di spettatrici a cercare di accampare scuse o a giocare a nascondino, invece di esserci dicendo forte e chiara la loro opinione. Da una parte a sostegno del sì alla proposta leghista ritroviamo quella grande fetta di elettori ticinesi che sostengono la politica degli sgravi fiscali e che avevano avallato l’effimero (ma sempre politicamente pesante) «decreto Morisoli» e che ora potrebbe lanciare in grande stile la volata al taglio del numero dei dipendenti pubblici. Anche perché l’UDC che ha gioito in silenzio per il giubilo leghista su un principio in origine promosso dagli stessi democentristi, ora vuole tornare a spron battuto sulla scena. Assistere all’ombra del sorridente Daniele Piccaluga è stata certamente una sofferenza per Piero Marchesi e i suoi. Ma politicamente dirompente è pure la vittoria dei copresidenti Fabrizio Sirica e Laura Riget che ora picchieranno il ferro rovente per fare in modo che la decisione popolare trovi un’attuazione a breve. Scontato che non potrà essere per il 2026, è già stata fatta la data del 2027 perché i ticinesi hanno detto che l’emergenza è oggi. Ma si sa bene che tra il dire e il fare il passo può essere molto complicato, anche di fronte alla pressante volontà popolare. Ora la palla passa al Governo, di certo non sorpreso dell’esito alle urne, ma impreparato nel gestire una situazione complessa ed onerosa come quella che dovrà affrontare a partire da oggi. Il Consiglio di Stato ha «preso atto», affermazione che ha il sapore della resa, dimostrando di affrontare con atteggiamento remissivo una realtà che richiederebbe (e richiederà) determinazione nei prossimi passi. Il voto di protesta sul sistema in vigore per la cassa malati sarà anche realtà, la LaMal non funziona più e sarà pure inadeguata, addirittura fallimentare.

Ma non si può sottacere la fragilità e la debolezza del collegio governativo cantonale, formato da cinque persone degne di rispetto e con personali capacità, prive però di sintesi e di amalgama. Il voto di protesta è anche contro l’Esecutivo, non ci si nasconda dietro a un dito o puntando l’indice verso la capitale federale. La strategia del Calimero con Berna non funziona e non sarà il voto ticinese a fare ottenere dalla politica federale una miracolosa soluzione. Sta di fatto che trovare uno spazio finanziario alle esose iniziative (300 milioni quella socialista, 100 per quella leghista alla quale vanno aggiunti altri 100 milioni di minori entrate cantonali per l’abolizione del valore locativo) sarà complicato. La sinistra, con coerenza propria che riconosciamo, propone di mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Ma, scommettiamo, c’è chi storcerà il naso e salirà sulle barricate. Ed è il paradosso di questa legislatura che è oggettivamente e politicamente morta, in attesa che il 2027 faccia nascere qualcosa di nuovo anche se, senza un coraggioso cambiamento del sistema elettorale, non sarà facile o immediato. Sperare nell’adozione «veloce» delle iniziative è legittimo, ma non si può dimenticare che in Ticino è in vigore il freno ai disavanzi, che oltre a un certo limite non si può andare e il caro imposte non è (per fortuna) immediato. Se oggi avessimo un freno alla spesa le cose sarebbero meno complicate, perché il problema dei conti cantonali sono le uscite e non le entrate.

Dopodomani arriverà il Preventivo 2026 che, in soldoni, ci mostrerà una volta ancora la realtà di un cantone che vive al di sopra delle sue capacità. Ma ammetterlo fa male. Paga di più, elettoralmente, continuare a lamentarsi con Berna.