L'editoriale

I primi effetti delle tariffe punitive statunitensi

I segnali dei danni inflitti all’economia manifatturiera svizzera dai dazi emergono dai dati del commercio estero di agosto: i settori più penalizzati sono quelli delle macchine e dell’elettronica, dell’orologeria e degli strumenti di precisione
Generoso Chiaradonna
19.09.2025 06:00

Dopo che la Banca centrale europea ha lasciato invariati i tassi d’interesse e la Federal Reserve ha intrapreso un nuovo ciclo di espansione monetaria, la prossima settimana toccherà alla Banca nazionale svizzera - che lo scorso giugno ha già portato a zero il costo del denaro - comunicare la propria politica monetaria. A detta degli esperti, il 25 settembre la BNS non procederà ad alcun taglio. Un ulteriore ritocco verso il basso porterebbe i tassi in territorio negativo, opzione che il presidente della direzione, Martin Schlegel, definisce problematica per i potenziali effetti collaterali sui risparmiatori e sui fondi pensione.

L’inflazione è molto bassa (0,2%), ma non abbastanza per giustificare una mossa verso i tassi negativi, che secondo l’istituto di emissione svizzero comporterebbero rischi sociali ed economici. Inoltre, la forza del franco continua a contenere la pressione inflazionistica, ma il cambio euro-franco e altri indicatori non segnalano, per ora, allarmi di deflazione o di una recessione particolarmente grave. Tutto bene, quindi? Il compito prioritario, se non l’unico, della Banca nazionale svizzera - al pari della sua omologa BCE - è garantire la stabilità finanziaria, ovvero la stabilità dei prezzi. La crescita economica dovrebbe essere una conseguenza di tale obiettivo. Tuttavia, negli ultimi mesi - anche per quanto riguarda la BNS - è comparso il classico «elefante nella stanza»: i dazi statunitensi del 39% su una parte dell’export svizzero, che continuano ad aleggiarne come un’incognita e condizionano giocoforza le scelte di politica monetaria. Anche per questo la direzione della BNS preferisce attendere e valutare gli effetti della politica protezionista americana sull’economia svizzera prima di intervenire nuovamente; si teme infatti che agire troppo in fretta possa penalizzare il sistema finanziario e la previdenza. I tassi negativi, infatti, riducono la redditività delle banche, possono spingere investitori e risparmiatori verso attività più rischiose e danneggiano il valore futuro delle rendite pensionistiche, con effetti dannosi a lungo termine.

I primi segnali dei danni inflitti all’economia manifatturiera svizzera dai dazi emergono dai dati del commercio estero di agosto. L’avanzo commerciale mensile resta solido (3,9 miliardi di franchi), così come quello cumulato fino a luglio, ma colpisce la forte flessione nominale (-22,1%, a 3,1 miliardi di franchi) delle consegne verso gli Stati Uniti. I settori più penalizzati sono quelli delle macchine e dell’elettronica, dell’orologeria e degli strumenti di precisione. Tengono invece l’industria farmaceutica (non colpita da dazi) e quella dei metalli preziosi, che dopo il picco anomalo di luglio è tornata a livelli più fisiologici. Per quanto riguarda l’orologeria, ad agosto si è registrata una forte contrazione generale del 16%, sempre nominale, che per gli Stati Uniti si è tradotta in un calo mensile del –23,9%, secondo i dati diffusi dalla Federazione delle industrie orologiere.

A confermare il momento di crisi di uno dei settori simbolo dello Swiss Made nel mondo è arrivata la notizia che, nel Giura - cantone orologiero per eccellenza - dall’inizio di settembre oltre 100 aziende hanno presentato domanda di lavoro ridotto per un totale di 4 mila lavoratori, pari a circa il 10% della popolazione attiva del cantone (cfr. pagina 10). Per ora si tratta di una crisi settoriale, non ancora generalizzata. Ma nella famosa stanza con l’elefante della BNS si parlerà anche di questo.

In questo articolo: