L'editoriale

I rapporti di forza tra pesi e contrappesi

Staremo a vedere se con la nuova coppia verrà scritta una nuova storia d’intesa politica sull’asse centro-destrissima
Gianni Righinetti
20.11.2023 06:00

Al Consiglio degli Stati svetta la destra con l’UDC Marco Chiesa, e Fabio Regazzi, uno degli esponenti più a destra che siede a Berna tra i banchi de Il Centro. Chiesa, che correva anche con in mano la bandiera della Lega, è stato protagonista di un secondo exploit dopo il dominio di quattro anni fa. È stato il candidato faro in Ticino: il democentrista fa quindi il bis ed è chiaro il vento politico che soffia alle nostre latitudini. Il turno di ballottaggio di ieri ha corretto la contrapposizione tra i poli emersa dalle scelte degli elettori del 2019, quando alla Camera dei Cantoni, al fianco di Chiesa, era stata premiata la socialista Marina Carobbio per un pugno di schede. Intanto, detto dell’autentica identità di Regazzi, il centro politico può gioire solo a metà: l’ideale obiettivo (non dichiarato) di promuovere la coppia formata da Regazzi ed Alex Farinelli (PLR) si era già dimostrato illusorio al primo turno e Regazzi ha confermato la seconda posizione al termine di una campagna lampo che lo ha visto duellare (ma con il fioretto e in maniera elegante) con il liberale radicale. Con l’imprenditore, presidente dell’USAM e cacciatore nato, il Ticino agli Stati genera una coppia chiaramente schierata. E questo, nonostante le rassicurazioni da Regazzi abilmente formulate per non precludersi nel voto al fotofinish il potenziale sostegno dell’elettorato centrista: «Non sono poi così a destra». Per quattro anni si è detto della contrapposizione Chiesa-Carobbio capace di annullare il voto del Ticino. Staremo a vedere se con la nuova coppia verrà scritta una nuova storia d’intesa politica sull’asse centro-destrissima. Il Centro di Fiorenzo Dadò con questa vittoria ottenuta grazie alla discesa in campo di un calibro della politica federale (a Berna dal 2011) riscatta parzialmente la domenica buia di metà ottobre. Quel giorno, al termine di un’estenuante «prendi e molla il secondo seggio», a pochi metri dalla meta si era concretizzato lo scenario peggiore per Il Centro, lo stesso che nel 2019 era stato scongiurato grazie al meccanismo della congiunzione (con i Verdi Liberali). L’effetto domino dell’elezione di Regazzi agli Stati, promuove il popolare sindacalista momò Giorgio Fonio al Consiglio nazionale. Sono i paradossi di questo genere di elezione che ha visto la frangia sindacale OCST tifare per il «padrone» Regazzi, al fine di portare Fonio a Berna. Chiamatela come vi pare: opportunità o danno collaterale.

Oggi si può dire che il centro politico del Canton Ticino in otto anni non è stato in grado di costruire nulla, ma di picconare nuovamente buona parte della sua credibilità agli occhi dell’elettorato, riconquistando gli Stati per la forza personale di Regazzi più che a quella del partito. La frittata l’avevano fatta il PLR e l’allora PPD, con la goffa costruzione di un’alleanza cinque minuti a mezzanotte (correva l’anno 2019). Dimostrandosi poi incapaci di tessere comunemente qualcosa di credibile con collaborazioni concrete sui dossier. Il dualismo tra due uomini alfa (il citato Dadò e il collega presidente PLR Alessandro Speziali) si è rivelato autolesionista all’eccesso. Ma accontentarsi (PLR) di aver mantenuto i due seggi in Consiglio nazionale e cullarsi ora (Il Centro) del ritorno nel prestigioso Consiglio degli Stati, sarebbe la reazione più sbagliata. Foriera, senza una vera strategia politica di coppia, di altri prevedibili dissesti per l’intera area ai prossimi appuntamenti elettorali.

Fino a quattro anni fa la presenza della politica di mezzo, il PLR e l’allora PPD, agli Stati era una costante, al punto che mai era accaduto che entrambi venissero estromessi. Il PLR contava molto su Farinelli per tornare a valere ed eleggere un profilo in grado di dare una certa continuità, anche per questioni anagrafiche. Cosa che, già solo per lo stesso fattore, Regazzi non potrà garantire. In casa liberale radicale sembra ripetersi una storia già scritta, quella del secondo seggio in Consiglio di Stato. Nel 2011, per effetto dell’ondata leghista, era stato perso: nel 2015, anche facendo la voce grossa, si è cercato di riconquistarlo, poi nel 2019, con minor convinzione e lo scorso aprile non è neppure stato più un tema. È la storia di un fallimento che si consolida tappa dopo tappa. Ormai assuefatti a contare uno su cinque, forse ci riproveranno nel 2027 scommettendo sulla perdita di velocità della Lega e la partenza (di uno o entrambi) i consiglieri di Stato in carica. Ma sarebbe un calcolo avventato perché l’avanzata dell’UDC non pare in grado di arenarsi a breve e il voto a destra di questo week end sembra un monito. Sarebbe sciagurato, nonché politichetta di Paese, contare sui presunti scandali per una fiduciaria, soffiando sul fuoco finendo per scottarsi, o sui post di qualche scheggia impazzita con rimpianti da Terzo Reich che nessuno mai sosterrà. Staremo a vedere se alle elezioni comunali del prossimo anno, in particolare a Lugano, il PLR e la Lega (in primis chiediamoci, quale Lega?) torneranno a duellare. Ma attenti all’UDC, che dopo il tentativo d’entrata in Consiglio di Stato, proseguirà nei prossimi mesi i lavori preparatori per farsi trovare pronta tra quattro anni a livello cantonale e nella città faro del Cantone.

Osservando il sipario calare sulle elezioni federali, si scorge l’asse rossoverde, uscito maluccio, senza infamia per carità, ma anche senza lode da questa tornata. Il PS, ottenuto il minimo sindacale con la conferma del seggio al Nazionale, sapeva che il seggio agli Stati era un fuoco di paglia, non per nulla Carobbio, da abile e navigata politica, si è rilanciata giusto in tempo a livello cantonale. Male su tutta la linea i Verdi che battono la ritirata verso quotazioni da quantité négligeable. Il miracolo della conferma del seggio a Berna porta il nome di Greta Gysin, ecologista di punta, vero e unico faro per ambire a mantenere un posto al sole. Per gli Stati non aveva alcuna chance, ma è stata abile a condurre una campagna come se non fosse così. Lo ha fatto con efficienza, pungendo quando occorreva e nello stesso tempo con il garbo di chi sa bene giocarsi una partita per migliorare l’immagine, dato che la sedia al Nazionale era lì ad attenderla.

E chiudiamo con Amalia Mirante, che con Avanti con Ticino&Lavoro si è dimostrata una spina nel fianco di quella sinistra che l’ha ripudiata ormai un anno fa. Il suo risultato e la sua vendetta sono roboanti, l’exploit era stato compiuto alle Cantonali e oggi si dimostra un nuovo fenomeno con la barca di voti alle Federali. Dal ballottaggio non aveva nulla da chiedere, se non di uscirne dignitosamente: missione compiuta. E ora occhio a questa scheggia pronta a pungere anche a Lugano, città nella quale il PS ha già parecchi grattacapi. Sarà lei a creare la sorpresa nella prossima primavera? Insomma è sempre una questione di rapporti di forza, di pesi e di contrappesi. 

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