L'editoriale

IA, euforia finanziaria da bolla tecnologica

Negli ultimi tre anni, il valore delle principali aziende tecnologiche del Nasdaq è più che raddoppiato, trainato proprio dall’entusiasmo per l’intelligenza artificiale e dai colossali investimenti nei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) come ChatGPT e simili
Generoso Chiaradonna
22.10.2025 06:00

Gli investimenti nell’intelligenza artificiale stanno di fatto sostenendo la crescita dell’economia statunitense. Secondo alcune valutazioni, questa euforia – che comunque si è trasformata in infrastrutture tangibili come server e grandi calcolatori – aggiunge un punto percentuale alla stima del PIL degli Stati Uniti. E sarebbe soltanto per questa ragione se gli effetti negativi della politica economica impostata da Donald Trump non si sono ancora manifestati. A tal proposito segnalo il numero online di ottobre dell’Osservatorio di Ceresio Investors che analizza proprio questo fenomeno e il suo riverbero sull’economia reale.

A ogni modo, secondo molti analisti da una sponda all’altra dell’Atlantico, ma anche dirigenti del settore, gli investimenti nell’intelligenza artificiale stanno effettivamente alimentando una potenziale bolla speculativa. Aveva iniziato lo scorso agosto Sam Altman, CEO di OpenAI, il «papà» di ChatGPT, con un’intervista al Corriere della Sera. «Gli investitori sono eccessivamente entusiasti dell’intelligenza artificiale». E ha definito il fenomeno una «bolla speculativa inevitabile». Anche Jeff Bezos ha parlato di «bolla industriale», spiegando che, anche se c’è euforia, essa può avere un effetto positivo, come nelle fasi iniziali di Internet, perché accelera l’innovazione anche se gonfia le valutazioni finanziarie. Ma è il professor Daron Acemoglu, economista del MIT di Boston e premio Nobel 2024 ad aver messo in guardia dal rischio di sovrastimare l’impatto sull’aumento della produttività, valutando un contributo reale attorno allo 0,7% del PIL nel prossimo decennio. Ciò vuol dire che in questo ambito c’è molto interesse, tanta speculazione, ma risultati per ora limitati. Altri indizi di una possibile bolla finanziaria che ricorda quella delle dot-com, o della new economy, dei primi anni del 2000 provengono direttamente dal mercato.

Negli ultimi tre anni, il valore delle principali aziende tecnologiche del Nasdaq è più che raddoppiato, trainato proprio dall’entusiasmo per l’intelligenza artificiale e dai colossali investimenti nei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) come ChatGPT e simili. Le sette principali aziende del settore (Nvidia, Apple, Microsoft, Meta, Tesla, Amazon e Alphabet) rappresentano un terzo del valore totale dell’indice S&P 500, il listino con le principali aziende statunitensi, un livello di concentrazione mai visto dai tempi della bolla dot-com, appunto. In pratica l’80% dei guadagni di Borsa dipende dagli stessi tecnologici. In pratica l’intelligenza artificiale è diventata «l’ossigeno» dell’economia americana, ma anche una fonte di vulnerabilità sistemica. Le aziende più esposte stanno investendo capitali ingenti in infrastrutture e data center senza però ancora un modello di business sostenibile e soprattutto in profitto. All’inizio di quest’anno, all’apparire di un competitor cinese come DeepSeek realizzato con un decimo degli investimenti usati da ChatGPT e in minor tempo, per dire, i titoli legati all’IA ebbero una brusca e momentanea correzione. Superato «l’effetto Sputnik», come fu prontamente ribattezzata la comparsa sulla scena globale di DeepSeek, la corsa dei titoli tecnologici è proseguita come se nulla fosse in attesa dei fantasmagorici utili per ora rimasti soltanto sulla carta.