L'editoriale

Il capitale di fiducia non va sprecato

Se, da un lato, la Svizzera ha saputo costruirsi un nome capace di attrarre aziende e start-up del settore tecnologico, dall'altro basta una «semplice» consultazione in vista di una possibile revisione delle ordinanze per rompere l’equilibrio
Giona Carcano
28.07.2025 06:00

Dalle parole ai fatti. Proton, azienda tecnologica con sede a Ginevra, dopo averlo minacciato negli scorsi mesi, volta le spalle alla Svizzera e investirà 100 milioni di franchi – necessari per ampliare la rete di server – poco al di là del confine, in Germania. Il motivo? La Confederazione è considerata a rischio, viste le modifiche legislative proposte alcuni mesi fa dal Consiglio federale in materia di sorveglianza.

Facciamo un passo indietro. L’azienda in questione sta sviluppando un modello di intelligenza artificiale unico. Si chiama Lumo ed è legato a una promessa: contrariamente ai grandi «player» mondiali (ChatGPT, DeepSeek, Microsoft Copilot, Gemini), le conversazioni e le ricerche degli utenti saranno protette. La privacy, grazie a un livello di crittografia molto forte, sarà garantita al 100%, tanto che nemmeno l’azienda stessa avrà accesso ai dati. Una nuova frontiera dell’intelligenza artificiale, che però – secondo il direttore di Proton, intervistato qualche giorno fa da Le Temps – sarebbe messa in pericolo dalla revisione delle ordinanze legate alla Legge federale sulla sorveglianza della corrispondenza postale e del traffico delle telecomunicazioni, posta in consultazione la scorsa primavera. In pratica, Proton e altre società tecnologiche (come Threema, che peraltro fornisce alla Confederazione e all’esercito un servizio di messaggistica sicuro) accusano Berna di voler estendere la sorveglianza, restringendo la privacy e abbassando drasticamente la soglia del numero di utenti entro la quale i fornitori possono essere obbligati a collaborare con le autorità.

Andy Yen, il direttore di Proton, ci va giù pesante nel commentare la possibile revisione delle ordinanze. «È un pessimo segnale. Non possiamo investire in Svizzera in attivi strategici difficili da spostare, come una fabbrica di intelligenza artificiale. Ciò significa che dovremo trasferire la maggior parte della nostra infrastruttura fisica fuori dal Paese. I nostri centri dati per l’intelligenza artificiale non saranno in Svizzera, perché la riservatezza è essenziale e si tratta di investimenti importanti».

La vicenda Proton dimostra quanto sia fragile e scivoloso il campo di gioco sul quale molti Paesi hanno deciso di scommettere. Se, da un lato, la Svizzera ha saputo costruirsi un nome capace di attrarre aziende e start-up del settore (come Google a Zurigo, ma non solo) grazie alla sua stabilità politica ed economica, dall’altro basta una «semplice» consultazione in vista di una possibile revisione delle ordinanze per rompere l’equilibrio. E perdere una fetta del capitale di fiducia faticosamente conquistato negli anni.  

D’altra parte, è comprensibile dotare le autorità di perseguimento penale degli strumenti necessari per stare al passo con i tempi. Il punto, però, è muoversi con estrema cautela su un terreno relativamente nuovo, e che necessita di continui adattamenti del quadro giuridico. Ciò che è avvenuto con Proton, potrebbe accadere con altre società di questo tipo. Accontentare tutti è impossibile, lo si è visto con le grandi discussioni a livello europeo attorno al cosiddetto «AI Act». Ma cercare di mantenere un mercato il più possibile aperto all’interno del perimetro di una legislazione chiara ma non asfissiante, senza quindi impedire alle autorità di svolgere il necessario lavoro di sorveglianza, è la strada da seguire. Evitando di scadere nella dannosa «cultura del sospetto», che in questo particolare ambito è vista come la peste.

Anche perché la Svizzera ha un nome da difendere sulla scena internazionale nel settore tecnologico. Nella Confederazione, oltre a numerosi uffici di multinazionali, sono presenti oltre 120 data server commerciali, «stanzoni» per l’archiviazione di enormi quantità di dati, l’oro di molte società che operano nel settore tech. Quasi nessuno, in Europa, può vantare una tale concentrazione di questo tipo di prodotti tecnologici. Mantenere questo vantaggio, che si traduce non solo in capitale monetario ma anche e soprattutto in capitale di ricerca scientifica e impieghi altamente qualificati, è dunque fondamentale per il futuro della Confederazione in questo campo.

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