L'editoriale

Il Centro partitico e il centro politico

Fiorenzo Dadò ha suonato la carica, prima ci aveva pensato il PLR con Alessandro Speziali - Ma un conto è curare l'orticello, ben altra cosa sono le alleanze strategiche
Gianni Righinetti
30.01.2023 06:00

C’era una volta il PPD, uno dei partiti del centro della politica che ha contribuito a scrivere la storia del Ticino fino all’era contemporanea. Questa forza politica oggi ha cambiato nome sulla spinta del vertice federale optando per «Il Centro». Un nuovo vestito per le stesse persone, ma soprattutto nell’intento di non modificare i propri ideali. Un mutamento all’insegna della continuità, nella speranza, se non di crescere elettoralmente, di non perdere ulteriormente posizioni. Il seggio in Consiglio di Stato non traballa e Raffaele De Rosa non ha concorrenti-pretendenti, ma a livello di Parlamento le incognite, con l’avanzare di listarelle e partitini, sono tali per cui nessuna delle forze di Governo può dormire sonni tranquilli. L’entusiasmo a delegati e ai simpatizzanti de «Il Centro», riuniti a congresso sabato, non manca e va osservato con favore il realismo mostrato dal presidente Fiorenzo Dadò, molto esplicito nel dare la carica: «Si vince unicamente se ci crediamo». In realtà sarebbe meglio affermare «si può vincere» (con quanto segue), ma ancora più importante, come sottolineato da Dadò, è che tocca a chi stava in quella sala fungere da effetto moltiplicatore del verbo politico de «Il Centro». Il meccanismo è universale e concerne tutti i partiti: serve poco applaudirsi a vicenda, darsi pacche sulle spalle e dirsi «ce la faremo», perché la partita delle elezioni si gioca nel Paese reale, una dimensione nella quale nell’era delle parole espresse con tanta velocità e facilità a mezzo social, contano sempre di più i fatti. Va detto che la spinta di Dadò è parsa essere contagiosa, ma il cambiamento del nome potrebbe anche disorientare l’elettorato, quello meno attento alle dinamiche «day by day» della politica, quello che tra qualche settimana osserverà i nomi delle liste, quelle dei candidati e farà la sua scelta, magari anche spinto dall’umore del momento e ignaro di cosa abbia rappresentato il PPD per gli irriducibili affezionati elettori ormai con i capelli grigi. Dadò sa pure che il trittico di elezioni alle porte, cantonali-federali-comunali, sarà la sua più importante scalata se dovesse ambire a restare in sella, anche se le forze politiche devono sempre pensare al domani al giorno in cui, come auspicato già più volte dall’interessato, a guidare questo partito potrebbe esserci una donna. Un passo fatto alla fine degli anni Novanta dal PS a conduzione Anna Biscossa. D’altronde a breve il Consiglio di Stato tornerà ad avere una donna tra le sue fila e mai come in questa tornata elettorale si sono contate tante donne (il 40% delle candidature) pronte a fare proprio un seggio in Parlamento.

«Il Centro» partitico non può inoltre limitarsi ad osservare il proprio orticello, ma deve guardare anche al centro politico che lo vede in teorica coabitazione con il PLR di Alessandro Speziali. L’incompatibilità di carattere tra Speziali e Dadò è lampante almeno da quando il primo è diventato presidente dei liberali radicali. Si tratta di due maschi Alfa che temono reciprocamente l’affermarsi dell’altro a svantaggio della propria leadership interna. Con questa premessa ogni tentativo di collaborazione sarà destinato all’insuccesso. Risulterà pertanto logicamente fallimentare ogni ipotesi di accordo elettorale, in particolare osservando le elezioni federali dove Dadò rischia di perdere uno dei due seggi in Consiglio nazionale e il PLR ambisce a tornare ad essere rappresentato al Consiglio degli Stati. I due partiti la frittata l’hanno fatta nel 2019 con un’alleanza improvvisata, né convinta né convincente, con il risultato di uscire tutti un po’ sconfitti e con un finale di accuse reciproche e regolamenti interni dei conti. Se gli anni trascorsi dovevano servire a ricucire lo strappo, l’obiettivo si può dire fallito e il clima tra le due forze ulteriormente deteriorato. La determinazione dei colonnelli fedeli ai rispettivi generali, non ha permesso neppure le tanto decantate «alleanze sui temi», accezione che viene sbandierata come salvagente di credibilità quando i rapporti sono incrinati e anche parlarsi risulta difficile. Al centro politico, indipendentemente dalla bandiera sventolata, serve un autentico bagno di umiltà, occorre abbassare la cresta per ripartire su basi nuove. Paradossale è constatare che il centro, per definizione punto d’equilibrio e luogo di mediazione, oggi sia più litigioso e astioso rispetto ai poli. A sinistra è nata l’alleanza rossoverde destinata a durare, a destra l’abbraccio tra Lega e UDC resiste e risulta pure degna del più abile illusionista la trasformazione di una frittata (come quella cucinata dall’UDC Paolo Pamini nei confronti dei due consiglieri di Stato leghisti) in un intatto e promettente uovo, facendo finta che nulla sia accaduto. Maestria e abilità che non reggono alla prova dei fatti, ma che fanno un baffo alla cocciutaggine autolesionista che si osserva al centro del panorama politico cantonale.

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