L'editoriale

Il dito puntato dei woke e sui woke

Era solo questione di tempo. Ed eccola qui. L’espressione ideologia woke è entrata a far parte anche del nostro dizionario politico
Paolo Galli
06.08.2022 06:00

Era solo questione di tempo. Ed eccola qui. L’espressione ideologia woke è entrata a far parte anche del nostro dizionario politico. E sarà parte integrante della dialettica pre-elettorale. Insomma, ci accompagnerà verso le Federali e potrebbe stupirci anche in chiave cantonale. Woke. “Sveglio”, letteralmente, o piuttosto, per meglio dire, “consapevole”. Ma è un termine (abusato) prettamente americano, con una storia molto americana. Fino a pochi anni fa significava qualcosa ed era utilizzato da qualcuno in particolare. Oggi significa tutt’altro, anche perché nel frattempo è passato di mano assumendo un’accezione negativa.

In origine, il termine woke era legato alla consapevolezza delle discriminazioni subite da questa o quell’altra minoranza, in particolare per etnia o genere. In questa chiave, è woke chi si sente e si dice - anche manifestandolo in piazza - consapevole di tali ingiustizie. Ma woke oggi è, in realtà, più spesso, chi esibisce tali posizioni progressiste con un eccesso di zelo e di severità, con l’indice puntato, estremizzando i toni. Insomma, il termine si è trasformato in questa direzione, sull’onda lunga del Black Lives Matter e dell’approdo alla Casa Bianca di Joe Biden, woke per antonomasia ormai nella cultura americana, in particolare nella narrativa repubblicana.

Il concetto si confonde tra altri, che stanno imbrigliando la nostra epoca, la cancel culture, il politicamente corretto. L’ideologia woke è un po’ cancel culture e molto politicamente corretto. Permea il contenuto del pensiero, ma anche la sua forma. Ed è tra i confini, relativi, di questi fattori che si gioca la questione dialettica. Perché il contenuto di un pensiero considerato woke è spesso pure condivisibile. La forma, tendente all’estremismo, e di conseguenza la messa in pratica di tale pensiero, molto meno. Il problema nasce quando le accuse di wokismo vengono formulate di fronte a un pensiero semplicemente lontano rispetto alle proprie convinzioni. Detta in altre parole: non tutte le posizioni progressiste o dettate da una particolare sensibilità attenta alle minoranze sono woke. Woke non è sinonimo di progressista; il termine non è spendibile insomma in ogni dibattito tra conservatori e progressisti, tra destra e sinistra. Parlare di cambiamento climatico non è woke. Parlare dei diritti di genere non è woke, perlomeno non nella sua accezione negativa. Possiamo però spendere l’aggettivo se la forma d’espressione si fa oltranzista.

In un’Europa che cambia, che evolve attraverso le diverse e successive ondate migratorie e una sempre maggiore fluidità, potremmo assistere a una crescita dell’ideologia woke, ma al contempo saranno più frequenti le strumentalizzazioni politiche.

Il fatto che i Giovani UDC si siano appropriati di tale rivendicazione, dichiarando guerra all’ideologia woke, intanto ci fa capire che tale terminologia è già sbarcata in Svizzera. L’ideologia woke, per i Giovani UDC, è «rea di imporre un modo di vivere e di pensare contro le nostre libertà». Il gancio: il documento interno di UBS relativo al linguaggio da utilizzare, in particolare negli annunci di offerte di lavoro, in modo che sia il più possibile neutro rispetto al genere. I Giovani UDC parlano di una «dannosa rieducazione al politicamente corretto» e suggeriscono di disdire i conti da UBS. Un vero e proprio boicottaggio. Il caso, in sé, non sembra destinato a grandi sviluppi. Ma ci ricorda quanto sia ormai polarizzata la nostra società, quanto sia diventato aggressivo il dibattito tra diverse posizioni. Si è inasprito il linguaggio, disposto ad assumere tic e espressioni che neppure ci appartengono pur di allargare il gap con l’altro. Non è quindi questione di essere woke o di opporsi ai woke, è una questione di distanze. Tornare ad accorciarle, in un mondo in guerra, non sarà facile. Tutto il contrario.