L'editoriale

Il globale, la guerra, la forza degli scambi

La Svizzera ha tratto beneficio per la sua parte dalla globalizzazione, pur mantenendo la sua sovranità politica
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
11.05.2022 06:00

Contrariamente a quanto molti affermano, l’avanzare della globalizzazione economica non ha eroso la crescita complessiva. Guardando agli ultimi venti anni, a livello mondiale c’è stata crescita annua in ben 18 anni (da un minimo di circa 2% a un massimo di circa 6%), mentre solo in 2 anni ci sono state discese (nel 2009 e nel 2020 pandemico). Lo sviluppo degli scambi globali ha anche contribuito ad una riduzione delle diseguaglianze tra le diverse aree del mondo; i quattro maggiori Paesi emergenti (Cina e India soprattutto, più distanziati Brasile e Russia) rappresentavano nel 2000 circa l’8% del PIL mondiale e a valori 2021 sono al 24%. La Svizzera, che guadagna attorno a un franco su due grazie ai suoi scambi con l’estero, ha tratto beneficio per la sua parte dalla globalizzazione, pur mantenendo la sua sovranità politica; le due cose, scambi globali e autonomia politica, evidentemente sono conciliabili.

Senza i diversi ostacoli comparsi sulla via degli scambi globali negli ultimi cinque anni, i risultati economici sarebbero stati nel complesso ancora migliori. L’aumento del protezionismo voluto dall’ex presidente USA Trump non ha risolto i problemi ed ha invece in parte frenato i commerci e la crescita mondiali. La pandemia ha avuto un impatto negativo sugli scambi globali, facendoli diminuire nel 2020 e facendo emergere strettoie nelle catene di rifornimento, con una spinta all’aumento dei prezzi durante il forte rimbalzo del 2021 e ancora in questa prima parte del 2022. Prezzi peraltro che erano già stati spinti anche dai dazi. La guerra in Ucraina causata dall’invasione russa ha accentuato su alcuni versanti le strettoie negli scambi e l’incremento dell’inflazione. Nonostante la guerra dei dazi varata da Trump, ora solo in parte rientrata, e nonostante l’impatto dell’ondata pandemica, gli scambi globali sono rimasti tuttavia nel complesso a livelli elevati. Ciò conferma la forza di fondo della tendenza allo sviluppo del libero scambio. La guerra nell’Europa dell’Est ora rappresenta un altro freno per gli scambi globali. La guerra deve cessare, naturalmente nel rispetto dei diritti dell’Ucraina, perché occorre porre fine anzitutto alle perdite umane e poi anche ai costi economici diretti e indiretti.

I dati dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) indicano questo andamento per gli scambi globali di merci: nel 2017 +4,8%, nel 2018 +3%, nel 2019 +0,2%, nel 2020 -5%, nel 2021 +9,8%; per il 2022 la previsione è ora +3% (contro il +4,7% previsto in precedenza). Come si vede, la guerra trumpiana dei dazi ha contribuito a frenare gli scambi nel 2018 e soprattutto nel 2019, accentuando un rallentamento fisiologico della crescita economica che poteva/doveva essere di minore entità; la stessa guerra dei dazi si è poi sommata agli effetti negativi della pandemia nel 2020. Le misure protezionistiche USA e dunque le ritorsioni in campo economico della Cina e di altre aree tra cui l’Unione europea, sono diminuite nel 2021 con l’Amministrazione Biden, ma non sono completamente sparite. Nonostante tutto ciò, il rimbalzo degli scambi globali nel 2021 è stato robusto. Adesso c’è il problema di un’inflazione che è a livelli eccessivi e che frena per la sua parte la crescita economica. E poi ci sono i problemi, anche economici, legati alla guerra in Ucraina. È un errore pensare che un ritorno a più o meno grandi blocchi economici regionali, con una riduzione complessiva degli scambi globali, possa dare gli stessi vantaggi avuti con l’avanzare della globalizzazione economica. Protezionismo e altri ostacoli per gli scambi globali non sono mai veramente scomparsi, erano però stati ridimensionati; poi sono nuovamente aumentati. Prima si tornerà a sviluppare il libero scambio, meglio sarà. Da ogni punto di vista. 

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