L'editoriale

Il Louvre tra sfregio e figuraccia

Un furto da film consumato in sette minuti sotto gli occhi dei visitatori mette a nudo la fragilità del museo più famoso al mondo
Paride Pelli
20.10.2025 20:30

Il «colpo del secolo» di domenica scorsa a Parigi è in realtà «lo sfregio del secolo». I ladri hanno parcheggiato, contromano e sul marciapiede, un non piccolo camion montacarichi sotto il Louvre, poi travestiti da operai hanno raggiunto il balcone del primo piano, hanno tagliato i vetri delle porte finestre con delle smerigliatrici, sono penetrati all’interno e hanno svaligiato la Galleria di Apollo. Sotto lo sguardo sbalordito dei visitatori, sono infine fuggiti in scooter con diversi gioielli della Corona di Francia di inestimabile valore.

Se la vicenda, con tutto il rispetto, fosse accaduta in qualche museo etnografico sperduto in qualche vallata svizzera, di quelli che aprono pochi pomeriggi la settimana, si potrebbe essere più indulgenti. Ma stiamo parlando del Louvre, il più celebre e iconico museo al mondo (tanto da essere stato «clonato», con un accordo nientemeno che tra due Stati, ad Abu Dhabi nel 2017). Nonché il museo più visitato in assoluto: 8,7 milioni di persone l’anno (2 milioni in più dei Musei Vaticani). L’orgoglio della Francia, che lo sostiene, in media, con 100 milioni di euro l’anno di fondi pubblici.

Una istituzione così tanto rappresentativa che a gennaio scorso il presidente Macron ha lanciato un ambiziosissimo progetto di ristrutturazione, intitolato «Nouvelle Renaissance du Louvre», per rafforzare ancora di più questa macchina museale che non ha pari al mondo. Un piano «colossale», lo aveva definito Macron. Lo stesso che domenica sera, ça va sans dire con molta meno grandeur, ha promesso: «Ritroveremo le opere rubate e i ladri saranno consegnati alla giustizia».

Quello che merita una riflessione è la facilità con cui è avvenuto il furto, a pochi metri dalla Prefettura di polizia. Tutti i media si sono dedicati al racconto dell’impresa, di sicuro cinematografica e spettacolare, ma il danno è di quelli irreparabili. Se i gioielli non venissero ritrovati, o se, come si teme, dovessero venire scomposti, con le pietre e l’oro venduti separatamente, la Francia perderebbe - e per sempre - un pezzo materiale e soprattutto spirituale della propria storia. Si tratta di privazioni pesantissime da gestire, anche agli occhi della cittadinanza. Per intenderci: è come se dall’esposizione di Svitto sparisse il Patto federale del 1291.

Di fatto ci si pensa poco, ma le collezioni, oggi, sono esposte a una fragilità senza precedenti. I musei sembrano luoghi blindati e sorvegliatissimi, poi un blitz di appena sette minuti come quello a Parigi rivela come siano, invece, altamente vulnerabili. Un paradosso, nell’epoca in cui arte e storia attirano enormi masse di visitatori desiderosi di scavalcare l’esperienza astratta del digitale per vedere da vicino «il pezzo unico».

Proprio a partire da eventi di cronaca come quello accaduto al Louvre, dovremmo tutti riflettere su quanto diamo per scontati e per protetti capolavori inestimabili. L’arte è sempre stata esposta a pericoli di ogni tipo - perfino alle intemperanze degli attivisti climatici - ma certo lasciarsela rubare in una manciata di minuti, in pieno giorno, è una vera figuraccia.