L'editoriale

Il Papa di domani nella politica di oggi

Per il mondo è il momento peggiore per la morte di un Pontefice, a maggior ragione se pensiamo a tutto quanto di buono e all’insegna della trasparenza è stato compiuto da quello dipartito
Gianni Righinetti
28.04.2025 06:00

Se tutti i fedeli che in questi giorni hanno invaso Roma e Città del Vaticano per rendere omaggio a papa Francesco frequentassero le chiese dell’occidente cristiano, i banchi non sarebbero vuoti e la crisi delle vocazioni non risulterebbe tanto marcata e priva di una sostanziale speranza nel futuro. Nei giorni che hanno preceduto l’ultimo saluto, tra commozione, preghiera e ringraziamento ad un pontefice umanamente eccezionale, non è mancato il voyeurismo irrispettoso e macabro del selfie con la salma. Così va il mondo, ma non di certo quel genere di mondo per il quale si è battuto fino all’ultimo respiro papa Francesco. I funerali di sabato e la tumulazione, come da sua volontà nella Basilica di Santa Maria Maggiore, hanno chiuso definitivamente il capitolo terreno del “Papa degli ultimi”, un Vicario di Cristo amato da moltissimi (dire da tutti sarebbe ipocrisia pura) e hanno aperto il processo che porterà, tra alcuni giorni, alla fumata bianca dalla Cappella Sistina e al successivo rituale. A partire dalla celebre locuzione latina “habemus Papam”. Il toto-nomi è già partito da giorni e molti sono gli interrogativi: il continente di provenienza, il colore della pelle, la lingua materna e il profilo teologico. Ne abbiamo sentite un po’ d’ogni genere, ma quello che conterà sarà solo la decisione dei cardinali elettori nella più sontuosa delle sale del Vaticano. Una volta presa la decisione nessuno potrà esprimersi su ragionamenti e dinamiche, tutti saranno tenuti al più rigoroso silenzio. Parleranno i voti, lo Spirito Santo e il nuovo Papa. Decideranno fondamentalmente in pochi e lo faranno lontano dagli occhi del mondo, senza telecamere o dirette social. Eppure sarebbero in molti a voler determinare una scelta che, nel contesto mondiale attuale, si fatica ad immaginare solo ecclesiastica e scevra da altre influenze, comprese quelle di natura politica. Quella politica che è stata protagonista alle esequie romane. In un certo senso anche invadente, come è prassi quando si muovono i potenti della terra in sfilata. A fare notizia è stato il faccia a faccia tra Trump e Zelensky, due sedie a San Pietro, fortunatamente senza il codazzo dei provocatori che aveva contraddistinto la figuraccia mondiale andata in onda in diretta dallo studio ovale a Washington qualche mese fa.

Quello che è certo è che in un periodo tanto tormentato a livello geopolitico, la scelta di un nuovo Papa interessa molto i potenti della terra e la politica in genere. Sostenere che la Chiesa sia lontana dalle dinamiche della politica è idealmente puro e bello, ma altrettanto illusorio. Anche papa Francesco ha detto politicamente la sua e a molti questo non è piaciuto. È stato un Papa schierato? Non esattamente. È stato un pontefice libero di dire quello in cui credeva, partendo dalla sua grande fede e dalla volontà di fare del bene, di pensare ai meno fortunati. Ma non per credo politico, bensì per la spinta d’umanità che ha contraddistinto il suo cammino. È stato anche in questo un grandioso esempio di rottura dopo il papato di Ratzinger, un dotto erudito, uomo di grande cultura, ma lontano dal mondo reale vissuto da cattolici e non. Dopo questa incredibile esperienza tutti noi rifuggiamo l’idea di un ritorno al vecchio stile dei papi di cui Ratzinger è stato autentica e infelice espressione fino alla fortunata elezione del Papa argentino. Trump nella sua tracotante spinta di potente decisionismo dei primi giorni di presidenza degli USA (ma anche nella schizofrenia mostrata nel compiere passi indietro ad esempio sul dossier dei dazi), sogna certamente di dettare legge anche nella scelta del futuro Papa per scorgere il più adatto al trumpiano modo d’essere populista di destra.

I grandi passi, ideali e concreti, compiuti da Papa Francesco non sono ancora di fatto pienamente consolidati all’interno di un’organizzazione millenaria come quella cattolica e un ritorno al passato è quanto di peggio potrebbe avvenire. Per questo occorre un successore in grado di proseguire nel solco tracciato. Papa Francesco non è stato perfetto, l’imperfezione è insita nella natura umana, ma è stato unico nel suo genere. Irripetibile? Certamente. Imitabile? Per molti aspetti auspicabile.

Diciamolo pure: per il mondo è il momento peggiore per la morte di un Papa, a maggior ragione se pensiamo a tutto quanto di buono e all’insegna della trasparenza (virtù rara nella Chiesa) è stato compiuto da quello dipartito. Sotto i nostri occhi abbiamo l’egemonia made in USA, la ferocia di Putin e un’Europa indebolita che non sa più a che Santo votarsi. Politicamente la situazione è disastrosa, ci sono più conflitti che mai in ogni parte del mondo. Siamo nelle mani della saggezza e della lungimiranza dei cardinali che si riuniranno in conclave. Una decisione che va ben oltre la scelta di colui che sarà chiamato a fungere da Vicario di Cristo. 

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